-LUDOVICO GEYMONAT Storia del pensiero filosofico e scientifico VOLUME SETTIMO Il Novecento (1) Con specifici contributi di: Ugo Giacomini, Giulio Giorello, Alberto Meotti, Mario Quaranta, Silvano Tagliagambe, Renato Tisato GARZANTI r edizione: aprile 1972. Nuova edizione: settembre 1976 Ristampa 1981 © Garzanti Editore s.p.a., 1972., 1976, 1981 Ogni esemplare di quest'opera che non rechi il contrassegno della Società Italiana degli Autori ed Editori deve ritenersi contraffatto Printed in Italy SEZIONE NONA Le grandi correnti ftlosoftcbe CAPITOLO PRIMO L'esigenza di innovazioni radicali I · LA RINASCITA DELL'INTERESSE FILOSOFICO Mentre nella seconda metà dell'Ottocento si era verificata una graduale di minuzione di interesse per i dibattiti filosofici - che parevano destinati a per dere sempre più peso in una cultura ormai dominata dalle scienze specialistiche - si assiste invece, all'inizio del xx secolo, ad un movimento in senso pressoché contrario. Ancora una volta, come sempre in passato, rinascita della filosofia significa rinascita dello spirito critico più intransigente, insofferenza per il patri monio di idee che si ritenevano definitivamente acquisite alla civiltà, consape volezza della necessità di rinnovare il nucleo più profondo di tale patrimonio. Come è ovvio, la svolta testé accennata non potrebbe venire compresa se non la si connettesse ai più importanti fenomeni che si produssero, in quegli anni, nel mondo economico-politico-sociale e in quello specificamente scientifico. Trattasi notoriamente di rivolgimenti così vasti e profondi, che non stupisce ab biano avuto una portata anche « filosofica ». Con riferimento ad essi si è giunti a parlare di tramonto dello spirito scienti fico e financo di «crisi» della civiltà. Un esame obiettivo della situazione non sembra tuttavia giustificare un tale giudizio, né rispetto alla scienza né in generale rispetto alla civiltà. Per quanto riguarda i rivolgimenti prodottisi nella scienza, se è vero che essi hanno scosso le fondamenta di parecchie teorie la cui validità pareva definitiva mente assodata, vero è però che l'abbandono di queste teorie si è rivelato tutt'al tro che negativo. Al contrario, come già sottolineammo nella nota introduttiva al volume VI, non rappresentÒ affatto l'inizio di un periodo di declino della ra zionalità scientifica, ma anzi l'avvio ad una fase di essa molto più matura e fe conda delle precedenti. Per quanto riguarda poi il complesso della civiltà, sembra incontestabile che i grandi eventi storici verificatisi nella prima metà del nostro secolo ebbero una funzione non solo non negativa ma altamente positiva. Facendo esplodere le con traddizioni della vecchia società, essi riuscirono infatti ad aprire la via a grandiosi sviluppi di ogni tipo: dalla realizzazione di ordini sociali radicalmente nuovi (ri voluzione sovietica del 1917 e rivoluzione cinese del 1949) alla instaurazione di L'esigenza di innovazioni radicali nuovi costumi anche nella vita privata, da un crescente controllo delle più segrete forze naturali a una sempre più rapida e più completa conoscenza di ciò che av viene in tutti i paesi del mondo. Se l'esigenza di una reale giustizia si è oggi così vivamente diffusa tra tutti i popoli (anche tra quelli che da secoli vivevano in stato di pressoché totale soggezione), se allo sviluppo della cultura partecipano ormai - o sono sul punto di partecipare - attivamente anche classi e nazioni che parevano del tutto estranee ad essa, è perché la cosiddetta crisi di cui poco sopra parlammo si è rivelata una crisi di crescenza, non di malattia e di morte. Il termine « crisi » nel significato autentico, cioè negativo, della parola può tutt'al più venire usato in riferimento a talune vecchie filosofie, per denotare le gravissime difficoltà in cui vennero a trovarsi i loro sostenitori, incapaci di inter pretare la nuova situazione e di offrire ai contemporanei un qualche valido orien tamento. Tipico è il caso della filosofia tardo-positivistica (come ad esempio l'evo luzionismo) che si trovò di fronte all'improvviso crollo delle categorie da essa adoperate con tanta fiducia sia in campo gnoseologico sia in campo etico-politico; le prime manifestamente inadeguate a interpretare la rivoluzione in atto entro la fisica-per !imitarci a parlare di una sola scienza -, le seconde violentemente contraddette dallo sviluppo tutt'altro che lineare (e, almeno prima facie, tutt'altro che progressivo) della civiltà. Qui si verificò effettivamente una crisi, cioè si aperse un autentico baratro che non sembrava lasciare adito ad alcuna via di uscita. II · LA TENTAZIONE IRRAZIONALISTICA La crisi dello scientismo (o tardo-positivismo) aveva già cominciato a mani festarsi negli ultimi decenni dell'Ottocento, come abbiamo avuto parecchie oc casioni di segnalare nel volume sesto. Si era soprattutto manifestata attraverso la rinascita di varie forme di irrazionalismo e di pessimismo, che amavano colpire i benpensanti parlando con estrema spregiudicatezza di fallimento della ragione e di tramonto della civiltà. Senza ripetere quanto già si è detto nel volume citato, vogliamo !imitarci qui a far presente che le visioni catastrofiche descritte, a volte magistralmente, dai propugnatori del pessimismo, parvero trovare un'effettiva conferma nei gravi eventi storici prodottisi a partire dal 1914 fino al 1943 (sconfitta delle truppe hitleriane a Stalingrado) . Questi eventi - che solo oggi possono venire giudicati con autentica obiettività sulla base di tutte le conseguenze cui diedero luogo - sembravano allora sfuggire ad ogni razionalità, ed è ben comprensibile che con tribuissero in misura notevolissima alla rapida diffusione di concezioni filosofiche come quelle or ora accennate. È inv ero difficile negare la manifesta inconciliabilità tra la vecchia nozione di progresso (inteso come qualcosa di naturale e necessario) e la tragica realtà del L'esigenza di innovazioni radicali primo conflitto mondiale, inutilmente feroce. Che dire poi delle mostruosità del fascismo e del nazismo, nonché delle fulminee sconvolgenti vittorie conseguite da quest'ultimo nella prima fase della seconda guerra mondiale? È spiegabilis simo che esse siano state considerate, dai più, come un'amara riprova della pre senza nella storia di invincibili forze del male. Oggi noi sappiamo che questo duro insegnamento della realtà poteva soltanto giustificare il definitivo abbandono delle vecchie forme, superficiali e dogmatiche, di ottimismo; sul momento, però, molti ritennero lecito fame il punto di partenza per giungere ad una specie di filosofia dell'« anti-progresso », cioè ad una concezione che negava, per principio, all'uomo ogni possibilità di progredire. È incontestabile che questa forma di pessimismo fu a lungo condivisa - in forma esplicita o implicita - da non pochi autori sinceramente contrari al fasci smo e al na~ismo. Alcuni pervennero anzi a teorizzare la naturalità, per l'essere umano, dello stato di colpa, senza alcun tentativo di collegare le ·effettive colpe, di cui l'umanità si macchiò nel periodo in esame, alle particolari situazioni storiche del momento. Il fatto singolare è che un atteggiamento sostanzialmente irrazionalistieo può anche venire riscontrato alla radice di varie correnti di pensiero fautrici del fa scismo e del nazismo (e quindi decisamente antitetiche alle precedenti). I miti ai quali i nazisti facevano appello (della razza, del grande Reich, ecc.) erano manife stàmente più rozzi di quelli della colpa e del-peccato, ma parimenti fondati su assunzioni acritiche, che respingevano per principio ogni tentativo di analisi storica circostanziata e precisa. Ciò che diversificava i due opposti schieramenti era senza alcun dubbio l'esito dell'atteggiamento irrazionalistico: i pensatori del primo gruppo concludevano infatti le loro finissime analisi con un richiamo all'interiorità, con un invito a cercare nel segreto più profondo dell'animo un rimedio alla fragilità della natura e alla mostruosità della storia; la conclusione delle correnti di pensiero di ispira zione fascista e nazista era invece l'invito all'azione, alla violenza, alla libera estrin secazione delle forze istintive presenti in noi. Una cosa, comunque, li accomunava: la rivolta contro le concezioni di marca illuministica e positivistica; il ripudio intransigente della « ragione », accusata di travisare l'autentica realtà dell'uomo. Già abbiamo incontrato questi terni par lando del romantiCismo; ma ora essi venivano spinti alle loro estreme conse guenze, senza timore dei paradùssi cui potevano dar luogo. Bisogna anzi dare atto che tale paradossalità possedeva un incontestabile fascino, come rilevammo nel volume sesto a proposito di Nietzsche. A ben considerare le cose, risulta chiaro però che l'anzidetta rivolta poteva a rigore condurre a due conclusioni profondamente diverse: alla polemica som maria contro la ragione (sbrigativamente identificata con quella di cui parlavano illuministi e positivisti), o all'approfondimento della medesima, cioè allo sforzo di 9 L'esigenza di innovazioni radicali arricchirla di nuove articolazioni e determinazioni per renderla più adeguata alla realtà recentemente emersa nello sviluppo della civiltà. I sostenitori dell'irrazionalismo, nelle sue varie forme, scelsero la prima via, e si trovarono pertanto costretti a escogitare qualcosa da contrapporre alla ragio ne: l'intuizione, l'istinto, l'appello all'immediato. Queste parole assumevano senza dubbio significati diversi nei diversi autori, onde sarebbe ingiustificato collocare sullo stesso piano l'uso che ne fecero i raffinati scrittori del primo gruppo e i grossolani « teorici » del nazismo. Ma, nonostante queste diversità, esse rivelavano in ogni caso un carattere irrimediabilmente dogmatico. Il successivo sviluppo della storia ha chiaramente dimostrato la maggiore validità della seconda via che, pur senza nulla concedere al facile ottimismo delle generazioni precedenti, ha posto in luce la sterilità di un atteggiamento puramente negativo. La ricerca di una razionalità più profonda di quella combattuta dagli irrazionalisti è oggi comune a molti indirizzi filosofici (materialistici e idealistici) ed ha già dato luogo a risultati di indubbia validità. Di fronte a questi risultati, il mero appello all'irrazionale assume un aspetto di manifesta inattualità, di puro sfogo sentimentale, che può commuovere individui e popoli, ma non può condur re ad alcuna seria conclusione. III · LA TENTAZIONE METODOLOGICA Notevolmente più pericoloso degli indirizzi irrazionalistici accennati nel paragrafo precedente (sconfitti, come sottolineammo, dallo stesso corso della storia politica e culturale) può dirsi oggi l'atteggiamento puramente metodologico assunto da alcune correnti filosofiche, assai diffuse fra i popoli più progrediti. La sua pericolosità dipende dal fatto che esso venne inizialmente suggerito da un'esigenza incontestabilmente giustissima: quella di chiarire e stimolare i grandi rivolgimenti prodottisi nella scienza all'inizio del secolo, nonché di esplicitarne la portata filosofica. Cotp.e già sappi~mo dalle sezioni VII e vm, e come meglio chiariremo nella presente, furono proprio le difficoltà incontrate dai cultori di alcuni rami della matematica e della fisica nell'espletamento delle loro ricerche a far sorgere la esigenza testé accennata, che in breve si estese per un lato a tutta intera la ma tematica, e per l'altro alle varie scienze fornite di contenuto empirico. Per quan to riguarda la prima, sono state le cosiddette « antinomie logiche » a segnare l'inizio di ampi e fecondi studi intorno ai fondamenti della teoria degli insie mi; il metodo assiomatico, che già si era rivelato molto efficace in geometria, confermò pure qui la propria straordinaria utilità. In breve tempo esso venne esteso anche agli altri capitoli fondamentali della matematica, permettendo di reimpostarli in forma nuova, molto più generale e più rigorosa di quella tradi zionale, e liberandoli in tal modo da ogni pericoloso riferimento esplicito o IO