LUDOVICO GEYMONAT Storia del pensiero filosofico e scientifico VOLUME UNDICESIMO Il Novecento (5) A cura di Enrico Bellone e Corrado Mangione Con specifici contributi di Carlo Bernardini, Piero Bertolini, Paolo Bisogno, Andrea Bonomi, Gianni Carchia, Ugo Fabietti, Edgardo Macorini, Riccardo Massa, Luciano Mecacci, Mauro Macchi, Carlo Montaleone, Francesco Remotti, Giorgio Rodano, Carlo Sini, André Tosel, Salvatore Veca, Serena Vicari GARZANTI r edizione: giugno 1996 ISBN 88-11-25061-7 © Garzanti Editore S.p.A., 1996 Printed in Italy Il Novecento (5) CAPITOLO PRIMO I nuovz scenari filosofici DI CARLO SINI I · DAI FRANCOFORTESI ALL'ERMENEUTICA La ricerca teorica degli ultimi trent'anni ha segnato indubbi e sostanziali muta menti rispetto al periodo precedente, caratterizzato dalla ripresa della collaborazione internazionale seguita al concludersi della seconda guerra mondiale. Nell'immediato dopoguerra esistenzialismo, neopositivismo, fenomenologia e marxismo avevano costi tuito i principali punti di riferimento del dibattito filosofico, in realtà assai più varie gato e complesso sia all'interno sia all'esterno delle quattro correnti di pensiero testé citate. A cominciare dagli anni cinquanta si mise in moto un processo di differenzia zione che, per fare solo qualche esempio, condusse alla crisi del pensiero neoposi tivistico classico e alla « liberalizzazione » delle sue tesi più radicali; analogamente, il marxismo ortodosso conobbe un travagliato processo di autocritica che diede vita a una interpretazione « umanistica » di Marx (soprattutto .con la ripresa delle opere giovanili, precedenti Il capitale) e per altro verso a una interpretazione «struttura listica»; quanto alla fenomenologia e all'esistenzialismo, correnti dapprima confuse e assimilate a causa della loro comune matrice, esse vennero svolgendosi separata mente e spesso in polemica tra loro; al che va aggiunto l'esplicito rifiuto di Hei degger, considerato l'iniziatore dell'esistenzialismo, a riconoscersi tale, in diretta pole mica con l'esistenzialismo sartriano.1 Nel contempo la ricerca scientifica, nel suo progressivo autonomizzarsi dalla filosofia (emblematico è al riguardo il caso della pedagogia), determina contraccolpi importanti sul profilo teoretico delle idee. L'epistemologia, per esempio, muta profon damente la sua fisionomia sotto l'influsso della storia della scienza; e altrettanto è da dire delle scienze umane sotto l'influsso della linguistica da un lato e della psi coanalisi dall'altro. E la stessa storia della filosofia acquista più complessi e raffinati contorni a causa del necessario confronto con la cosiddetta « storia delle idee», che scardina vecchie illusioni disciplinari e denuncia l'arbitraria proiezione all'indietro dei nostri presupposti teorici e dei nostri pregiudizi istituzionali e metodologici. 1 Si veda di Heidegger la celebre Lettera sul· sione delle note tesi avanzate nello stesso anno da l'umanismo del 1946, che è in pratica una sconfes- Sartre nel saggio I:e sistenzialismo è un umanismo. I nuovi scenari filosofici 1) La scuola di Franco/orte Si diceva del mutamento di clima instauratosi intorno e all'inizio degli anni cin quanta; orbene, questa è anche la data in cui l'Istituto per la ricerca sociale, uni versalmente noto come la scuola di Francoforte, tornò alla sua sede originaria, dopo diciassette anni di esilio americano conseguenti all'avvento del nazismo in Germa nia. Come ha scritto Giuseppe Bedeschi, « la maggior parte degli studi sulla scuola di Francoforte è apparsa nella seconda metà degli anni sessanta e nella prima metà degli anni settanta: fu quello, infatti, il periodo d'oro del "recupero" di autori come Horkheimer, Adorno, Marcuse ». Periodo che appunto compete alla nostra esposi zione. Gli autori sopra citati, e poi Benjamin, Fromm e altri ancora, per lo più ave vano prodotto i loro scritti principali già negli anni trenta e quaranta, ma la loro fama non aveva oltrepassato l'ambito accademico e specialistico. Solo nel corso degli anni sessanta2 cominciò la sistematica riesumazione e traduzione nelle principali lin gue europee delle opere della scuola di Francoforte, le quali divennero i « manife sti filosofici» della nuova sinistra. Il 1968, dice Bedeschi, fu perciò «l'anno magico di questo movimento. Ma esso fu solo l'inizio di un periodo che si sarebbe pro tratto (almeno per ciò che riguarda i suoi effetti sulla mentalità diffusa) per parec chi anni ancora (grosso modo, per un decennio): il periodo della guerra nel Viet nam, con la profonda impressione che essa esercitò sull'opinione pubblica del mondo intero; delle rivolte studentesche nei campus americani, presto diffusesi anche nel l'Europa occidentale; del maggio francese e della "rivoluzione culturale" cinese; del guevarismo, ecc.». Le tesi dei francofortesi che più dovevano incidere sulle speranze, in gran parte utopiche, di rinnovamento e di rivoluzione sociale degli anni sessanta e settanta si possono così sintetizzare. Anzitutto, come dice Bedeschi, «l'equiparazione di fasci smo, stalinismo e società unidimensionale », vale a dire la società industriale avan zata, in cui l'individuo è travolto dalla legge ferrea del profitto, dalla logica della trasformazione tecnologica delle pratiche di produzione e di vita, dalla cultura di massa e dell'informazione alienata, dalla mercificazione dell'intera vita spirituale. Le antiche opposizioni ideologiche «democrazia/totalitarismo», «destra/sinistra», «fa scismo/marxismo », «conservazione/progresso» non sono più sufficienti o attendi bili. In particolare la concezione illuministica del «progresso» e l'esaltazione della scienza e della tecnica come forze liberatorie dell'uomo (temi tipici del marxismo classico) vanno profondamente rivedute: nella ragione illuministica stanno i germi della alienazione contemporanea e la scienza non è affatto uno strumento «neutro» nelle mani dell'uomo, né essa è «innocente» nei confronti della devastazione della vita e della natura. Per questi ultimi temi, come è stato notato, i francofortesi si trovano in una qualche vicinanza con la critica nietzschiana della modernità e con 2 Si pensi per esempio al caso di Marcuse, 1964, I.:uomo a una dimensione. che assurse alla notorietà mondiale col libro del 4 I nuovi scenari filosofici le analisi heideggeriane del mondo della tecnica, nonostante la drastica e virulenta condanna da parte di Adorno e di Habermas del pensiero di Heidegger. C'è dun que bisogno di un più profondo processo di liberazione, rispetto alle classiche rivo luzioni dell'età moderna, processo che deve riguardare la rigenerazione dell'indivi duo, il che spiega l'attenzione rivolta da alcuni francofortesi alla psicoanalisi. Infine bisogna ricordare la riflessione dei francofortesi relativa alla individuazione del nuovo «soggetto rivoluzionario»: questo non può più essere rappresentato dalla classe ope raia, sempre più integrata al sistema capitalistico e sempre meno incisiva (e perciò meno significativa nella contrattazione politico-sindacale) rispetto al processo pro duttivo altamente tecnicizzato di una società complessa in cui i servizi e la buro crazia crescono in maniera esponenziale. Il nuovo soggetto rivoluzionario viene allora individuato negli emarginati, nei perseguitati per motivi ideologici o razziali, nei popoli del Terzo Mondo e anzitutto negli intellettuali non ancora «addomesticati» e corrotti dal sistema, a cominciare dagli studenti delle università di massa, desti nati a una cronica disoccupazione intellettuale ed emarginazione sociale. Il patrimonio di queste idee aveva avuto il suo atto di nascita nel 1922, quando un gruppo di intellettuali marxisti diede vita (grazie alla donazione di un industriale, Hermann Weil, padre di Felix, uno dei fondatori del gruppo) all'Istituto per la ricerca sociale, affiliato all'università di Francoforte. Dopo l'economista Kurt Albert Gerlach, che lo diresse per pochi mesi, l'Istituto ebbe per direttore Karl Gruen berg, che aveva insegnato scienze politiche all'università di Vienna e aveva fondato nel 1910 l'« Archivio per la storia del socialismo e del movimento operaio», al quale avevano collaborato Gyorgy Lukacs e Karl Korsch, entrambi sostenitori dell'impor tanza della dialettica nel pensiero di Marx, tema che doveva rivelarsi essenziale anche nel lavoro dei francofortesi. L'« Archivio » divenne di fatto, per opera di Gruen berg, l'organo scientifico dell'Istituto, con l'intento dichiarato di mettere la scienza al servizio della «transizione dal capitalismo al socialismo». Tra i suoi collaboratori troviamo i nomi di Max Horkheimer, Friedrich Polloch, Karl August Wittfogel, Franz Borkenau, Henryk Grossmann, seguiti da Leo Lowenthal e Theodor Wie sengrund Adorno. All'inizio degli anni trenta si aggiunsero Herbert Marcuse ed Eric Fromm. Nell'insieme, un gruppo di giovani intellettuali destinati a influire profon damente sulla cultura del nostro secolo. Nel 1930 Horkheimer successe a Gruen berg e fu allora che l'Istituto raggiunse la sua più matura espressione, assumendo quei connotati che poi lo caratterizzeranno universalmente come la scuola di Fran coforte. Nel 1932 Horkheimer fonda la celebre rivista ufficiale dell'Istituto (« Zeit schrift fiir Sozialforschung »), ma già nel 1934, dopo un periodo a Ginevra, dove era stata fondata una sede decentrata dell'Istituto, Horkheimer si trasferisce, con molti collaboratori, negli Stati Uniti. Qui cominciano ad apparire gli Studi sull'au torità e la famiglia (1936), curati da Horkheimer con la collaborazione, tra gli altri, di Marcuse, di Fromm e di Adorno, che nel 1938, dopo un periodo trascorso in Inghilterra, raggiunge a New York i compagni dell'Istituto. Nel 1941 Horkheimer e I nuovi scenari filosofici Adorno si trasferiscono a Los Angeles (in questo periodo cade la celebre collabo razione intellettuale tra Adorno e Thomas Mann, che sta scrivendo, in esilio volon tario, il Doktor Faustus). Nel 1950 il già ricordato ritorno: Horkheimer e Adorno ricostituiscono a Francoforte l'Istituto per la ricerca sociale. a) Max Horkheimer. La produzione matura di Horkheimer (1895-1973) è con trassegnata da un lato dalla raccolta del lavoro, in larga parte disperso e introva bile, dei decenni precedenti; da un altro lato dalla revisione della sua «teoria cri tica», che assume in ultimo toni profondamente pessimistici. Horkheimer era par tito dallo studio della Critica del giudizio di Kant, cui si era aggiunta l'influenza decisiva di Hegel, Marx e Freud. Di qui l'elaborazione di quella teoria critica che risente anche delle tesi di Storia e coscienza di classe (1923) di Lukacs. L'idea cen trale è il rapporto scienza-società. Il mondo moderno è caduto preda della aliena zione del sapere la cui origine è già in Descartes, alienazione consistente nel sepa rare la scienza dalla sua genesi e dal suo uso sociali. Di qui la polemica durissima di Horkheimer (e di Adorno) contro il neopositivismo, la logica formale e la stessa scienza della natura: questi sa peri sono in larga misura l'espressione ideologica della società capitalistica e le scienze umane, che ne imitano i metodi empiristicamente e positivisticamente, generano solo la obiettivazione dell'uomo e perciò la sua sotto missione all'autoritarismo palese e nascosto del mondo industriale. La teoria critica assume invece il modello del sapere dialettico· hegelomarxista, integrato dalla psi coanalisi freudiana, la quale ultima è particolarmente efficace per comprendere sia i fenomeni dell'autoritarismo che si generano nella famiglia borghese in sintonia con gli interessi di classe, sia i fenomeni del pregiudizio antisemita e della discrimina zione sociale3, sia infine il fenomeno della accettazione conformistica da parte del proletariato dei modi di vita e dei miti della società borghese e capitalistica, con tro il suo stesso interesse di classe. I numerosi saggi fondatori della teoria critica vennero raccolti in due volumi da Horkheimer nel 1968 (Teoria critica), cui si aggiunsero nel 1972 gli Studi di filo sofia della società. Di notevole interesse è anche il libro Eclisse della ragione. Cri tica della ragione strumentale, apparso in edizione inglese nel 1947 (il testo nasce da un ciclo di lezioni tenute alla Columbia University nel '44) e in edizione tedesca nel 1967. La «ragione strumentale» è, secondo Horkheimer, il concetto di razio nalità che sta alla base della cultura industriale contemporanea. Sua tipica espres sione è da un lato il pragmatismo, nella sua pretesa di tradurre ogni idea in azione; dall'altro il neop-ositivismo e la logica formale, nel loro chiudersi in una ragione for malizzata che si astiene dall'azione. Questa ragione è, dice Horkheimer, « sogget tiva»: essa ha perso la ragione oggettiva che congiungeva organicamente mezzi e 3 A questa indagine, col titolo Studi sul pre- fase finale del suo periodo americano. giudizio, l'Istituto dedicò ben cinque volumi nella 6