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Sicilia contesa - separatismo, guerra e mafia PDF

136 Pages·2014·2.104 MB·Italian
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S i c i l i a contesa SEPARATISMO, GUERRA E MAFIA Antonello ^ SALERNO EDITRICE Battaglia Aculei Collana diretta da Alessandro Barbero «La Sicilia è un’isola. Dio stesso, nel crearla cosi, volle chiaramente avvertire che essa doveva rimanere staccata, separata dal continente» (M. Turri). e 12,00 Il separatismo siciliano, di cui si intravedono le radici nei moti insurrezionali che nel corso dei secoli colpirono l’isola, ebbe vasta diffusione e inquietanti sviluppi tra il 1943 e il 1950. Alla vigilia dello sbarco alleato fu fondato il Comitato provvisorio per l’Indipendenza, sedicente portavoce delle aspirazioni dei siciliani, che avrebbe colmato il vuoto politico lasciato dal fascismo e permesso al movimento di proporsi come corrente di rinnovamento. Nel febbraio del 1944 la riconsegna deM’isola all’Italia da parte degli Alleati e la decisa risposta dello Stato alle istanze siciliane portarono a un inasprimento dello scontro fra il Regio Esercito e i “guerriglieri” indipendentisti. I rastrellamenti e le battaglie campali ridimensionarono l’eversione secessionista; fu intavolata una trattativa segreta fra lo Stato e i separatisti, che avrebbe portato alla concessione dell’autonomia siciliana. Negli anni successivi l’isola fu governata quasi ininterrottamente dalla Democrazia Cristiana, ma l’agognata crescita economica non ci fu. L’autonomia, associata non di rado al federalismo, è ancora oggi al centro di un ampio dibattito, in una fase storica caratterizzata da crescente sfiducia nei confronti dello Stato e dalla nascita di movimenti che rivendicano l’indipendenza. Come nel Nord Italia, anche in Sicilia iniziano a serpeggiare e a ridestarsi timide simpatie filo-separatiste. ANTONELLO BATTAGLIA insegna Storia delle relazioni internazionali all'Università di Roma «Sapienza». Si è occupato del separatismo siciliano e del Risorgimento italiano. Tra i suoi lavori da ricordare almeno La capitale contesa. Firenze, Roma e la Convenzione di settembre (1864) (Roma 2013). ANTONELLO BATTAGLIA SICILIA CONTESA SEPARATISMO, GUERRA E MAFIA SALERNO EDITRICE ROMA Copertina: Concepì and graphic design: Andrea Bayer (www.andreabayer.it). Illustrazioni: Andrea Conforzi. ISBN 978-88-8402-942-3 Tutti i diritti riservati - All rights reserved Copyright © 2014 by Salerno Editrice S.r.l., Roma. Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, senza la preven­ tiva autorizzazione scritta della Salerno Editrice S.r.l. Ogni abuso sarà per­ seguito a norma di legge. Ad Antonella INTRODUZIONE «Antudo!» gridavano i rivoluzionari durante le giornate convulse della primavera del 1282, quando i Vespri sollevavano l’intera Sicilia sottomessa al potere angioino. L’acronimo di Animus Tuus Dominus divenne il motto dell’insurrezione insieme alla bandiera giallorossa - dall’unione dei colori di Corleone e Palermo, primi centri a ribel­ larsi - con la tríscele color carnato e la gorgone Medusa.1 Da quel lunedi di Pasqua si scatenò una violenta “caccia ai francesi”, gli angioi­ ni fuggirono. I rivoluzionari chiesero l’aiuto di Pietro III d’Aragona, marito di Costanza di Svevia, la nipote di Federico II, l’imperatore caro ai siciliani. Il motto e il vessillo furono innalzati anche nel mag­ gio del 1647, durante l’insurrezione armata per l’abolizione delle ga­ belle e per una maggiore partecipazione del popolo al governo delle città. Il viceré fuggì, ma dopo qualche settimana gli spagnoli ritorna­ rono con la forza. Circa centosettant’anni dopo, nel 1820, «Antudo» fu il grido dei moti sollevato contro i Borbone che avevano appena proclamato la fine del Regno di Sicilia e avevano accorpato l’isola al regno parteno­ peo. La rivolta permise di ripristinare la costituzione siciliana del 1812, ma i generali napoletani soffocarono nel sangue tumulti e costituzio­ ne. La Sicilia era riannessa al Regno di Napoli. Il 12 gennaio 1848, lo stesso motto urlato a Palermo scandi l’inizio della vasta ondata rivo­ luzionaria. L’intero continente europeo fu trascinato in un biennio rivoluzionario che sconvolse definitivamente l’ordine sancito a Vien­ na nel 1815 e diede avvio a una nuova fase storica, la “primavera dei popoli”. «La scintilla rivoluzionaria di Palermo» cosi la chiamavano i siciliani che si vantavano di essere stati gli artefici di un’intensa stagio­ ne di libertà europea. Anche in questo caso la costituzione, prima concessa, venne presto revocata dal conservatore Ferdinando II delle Due Sicilie. Il 5 maggio 1860 a Marsala, la bandiera della trinacria fu sventolata insieme a quella dei garibaldini che iniziarono dalla Sicilia le operazioni militari contro l’esercito borbonico. A Trapani c’erano già stati violenti disordini e Garibaldi, in costante contatto con i pa­ trioti Pilo e Crispi, era consapevole dell’opposizione siciliana a Napo- 9 INTRODUZIONE li. L’idea d’Italia, tuttavia, non era ben chiara ai siciliani. La liberazione da Ferdinando e da Franceschiello si pensava potesse condurre a una Sicilia libera, magari governata dallo stesso Garibaldi. La prospettiva di un’annessione al Regno di Sardegna e la dilagante crisi economico- alimentare sfociarono, non di rado, in gravi disordini come quello di Bronte, il io agosto 1860, quando il comandante garibaldino Nino Bixio sedò nel sangue la rivolta. A poco più di un anno dall’unità d’Italia, fu proclamato lo stato d’assedio su Palermo «e tutte le provincie siciliane». «Antudo!» urla­ vano i palermitani. Lo gridarono per sette mesi, invano, fino a quan­ do le truppe regie riportarono l’ordine. Si ripeterà tutto quattro anni dopo, nel 1866 quando il colera, la miseria, le pesanti misure polizie­ sche e la terza guerra d’indipendenza contribuirono a una nuova on­ data insurrezionale detta del «sette e mezzo». Drappi e motti rivolu­ zionari anche negli anni Novanta dell’Ottocento con i “fasci Siciliani” che inscenarono proteste dando voce a rivendicazioni democratiche e indipendentiste. Fu proprio un siciliano a reprimere la rivolta, il capo del governo, Crispi, che pur comprendendo le proteste dei lavo­ ratori non ne condivideva l’intenzione secessionista. Arresti somma­ ri, esecuzioni e condanne - poi amnistiate - soppressero il sovversivi­ smo. Diversi momenti della storia dell’isola in cui l’identità siciliana si rinvigorì, facendo appello alle istanze indipendentistiche o autono- miste. Moti, vessilli e rivendicazioni si presentarono puntualmente nei periodi di crisi caratterizzati da malessere sociale, rivendicazioni politiche e prevedibili disordini nei quali l’esigenza di un nuovo ordi­ ne veniva legata all’ineluttabile autogestione governativa. In ogni ca­ so le grandi aspettative furono disattese e il fragore dei cannoni riuscì a zittire le urla e ammainare le bandiere. Un altro momento di crisi fu il Secondo conflitto mondiale, in particolare nella convulsa primavera-estate del 1943, quando la Sicilia fu il primo fronte della guerra in suolo europeo e lo scenario di gravi tensioni locali, oltre ovviamente che nazionali e internazionali. Le principali direttrici delle operazioni militari convergevano nell’isola; bombardamenti, distruzioni, vittime, paralisi economica, fame, de­ linquenza, mercato nero, traffico di armi portarono al risveglio del­ l’antico motto «Antudo» (in siciliano «Antudu!»). Anche in questo 10 INTRODUZIONE caso il desiderio di un nuovo ordine sociale, l’aspirazione ad una mi­ gliore condizione di vita e l’attesa per la fine del conflitto conversero nell’opposizione politica al governo fascista, ritenuto il principale re­ sponsabile della gravissima crisi. L’imminente caduta del regime fu correlata all’inevitabile crollo dello Stato nazionale unitario retto da un re definito “fedifrago” e, a partire da quella tarda primavera del 1943, la rinascita siciliana venne ricondotta a imprescindibili istanze indipendentiste. Furono clandestinamente pubblicate le prime ope­ re di propaganda separatista; La Sicilia ai Siciliani! - pamphlet di Mario Turri, pseudonimo del partigiano e militante Mario Canepa - pro­ pugnava la teoria di una Sicilia secolarmente sfruttata dalle domina­ zioni straniere, annessa con l’inganno ai Savoia e vessata durante il ventennio fascista. In questa fase, stante anche la mancanza di altre concrete alternative politiche al fascismo in Sicilia, il movimento ot­ tenne il consenso del popolo che aspirava, al di là del programma politico indipendentista, al miglioramento delle proprie condizioni di vita. In un primo momento il separatismo - non osteggiato dagli Allea­ ti che volevano ottenere l’appoggio della popolazione - non incontrò alcuna resistenza. Ma dopo la riconsegna della Sicilia all’amministra­ zione italiana, nel febbraio del 1944, le aspirazioni del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia (MIS), che fino a quel momento aveva sperato nell’accettazione delle proprie istanze, vennero vanificate. In realtà gli Alleati non presero mai sul serio l’ipotesi di una Sicilia indi- pendente, né tantomeno americana. Sfruttarono abilmente il separa­ tismo per accentuare la crisi e affrettare la caduta del regime fascista e successivamente per fare pressioni sul re e accelerare l’armistizio ita­ liano. Raggiunti tali obiettivi, il “benevolo appoggio” mutò in indif­ ferenza. La Sicilia tornava ad essere, com’era d’altronde sempre stato, un problema italiano. Iniziò una fase di contrasto tra i separatisti e le nuove istituzioni statali. La paventata ipotesi di ottenere come massimo risultato l’au­ tonomia, favori tra gli indipendentisti l’affermazione della frangia eversiva e l’inizio della guerra al governo italiano. Nacquero prima l’Esercito Volontario per l’indipendenza della Sicilia (EVIS), in segui­ to la Gioventù Rivoluzionaria per l’Indipendenza della Sicilia (GRIS) 11 INTRODUZIONE e venne sancito il sodalizio con le bande maliose dell’isola tra cui quelle di Salvatore Giuliano a Montelepre, Rosario Avila a Niscemi e Calogero Vizzini a Villalba. Entrambe le organizzazioni condivide­ vano per motivi diversi la contrapposizione allo Stato e, strumenta­ lizzandosi a vicenda, si unirono nella lotta. La battaglia di S. Mauro di Caltagirone del 29 dicembre 1945, tre­ dici cicli di rastrellamenti in Sicilia orientale e otto in Sicilia occiden­ tale, tra gennaio e aprile 1946, permisero al governo di ridimensiona­ re l’azione delle bande armate separatiste. In Sicilia l’assenza di una rivoluzione agraria aveva impedito la modernizzazione e soprattutto la formazione di una classe borghese capace di imputarsi un processo di cambiamento attraverso l’investi­ mento produttivo nelle campagne. A causa di questa realtà statica, nell’isola si erano attivati i complessi meccanismi di rivendicazione. Ma il separatismo siciliano si componeva di anime differenti, forze politiche diverse, persino contrapposte che tuttavia convergevano sull’aspirazione all’indipendenza. Le trattative segrete Stato-separati­ smo portarono - insieme alla riforma agraria del 1950 e all’amnistia per i reati politici - alla pacificazione sociale. Il movimento, per esse­ re legittimamente riconosciuto come partito politico, dovette accet­ tare il compromesso dell’autonomia rinunciando cosi ai principi co­ stitutivi del separatismo, snaturandosi e avviandosi verso il declino accelerato dalle contrapposizioni tra le diverse correnti intestine.2 Negli anni successivi, la Democrazia Cristiana riuscì a ricomporre la crisi. Nella smobilitazione del movimento separatista molti espo­ nenti - soprattutto della frangia filo-monarchica e reazionaria com­ posta dagli aristocratici e grandi proprietari terrieri - confluirono nella “balena bianca”. Gran parte dei presidenti della regione, fino alla metà degli anni Novanta, eccetto qualche eccezione, fu democra­ tico-cristiana e il grande partito, dunque, governò quasi ininterrotta­ mente nell’isola. Non si parlò più di separatismo, era come si trattasse di una suggestione affascinate ma ormai svanita. La regione era ormai autonoma e proprio ciò era considerato il nuovo elemento di forza della Sicilia che, se da un lato restava legata all’Italia, dall’altro affer­ mava la propria identità ed esercitava il tanto agognato autogoverno. Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta il dibattito 12

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