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Sam Durell Operazione sonno Edward S. Aarons EDIZIONE 2013 di Bandinotto PDF

136 Pages·2016·1.99 MB·Italian
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Segretissimo n. 123 Del 7 aprile 1966 Edward S. Aarons Sam Durell – Operazione sonno Titolo originale: Assignment Angelina, 1961 Traduzione di Bruno Just Lazzari Copertina di Carlo Jacono Indice © Trama Personaggi principali Pubblicità d’epoca Segreti di ieri - Operazione “Tre Rosse” Carte d’archivio – I conti non tornano Ciak-Secret Edward S. Aarons Opere In italiano l Mark guidò la Cadillac fino al centro del villaggio. Corbin sollevò qualche obiezione, nel suo tono gentile e misurato, ma Mark dichiarò che non aveva nessuna importanza, in quanto il villaggio era composto soltanto di una stazione di rifornimento e di alcune baracche abbandonate, situate nel bel mezzo del deserto dell’Arizona. E siccome era Mark che comandava, la discussione non ebbe seguito, Slago era seduto dietro, con Corbin. Era un uomo robusto e, ora che l’operazione era effettivamente incominciata, sembrava divorato dall’impazienza. Jessie era davanti, accanto a Mark, e contemplava il deserto con aria indifferente. I suoi capelli biondi erano tenuti insieme da un sottile nastro celeste che aveva comprato in un magazzino a prezzo unico, a Tucson. Corbin avrebbe preferito che sua moglie si fosse seduta accanto a lui e che Slago si fosse sistemato davanti, ma Jessie non aveva voluto sentir ragioni. In una curva, Mark sentì la coscia morbida di Jessie premere contro la sua. Guardò la donna con la coda dell’occhio e le sorrise; ma lei non batté ciglio. Per la prima volta, Mark fu colpito dalla sua aria impassibile. – Ci siamo – grugnì Slago. E allungo di scatto il testone tondo. A Tucson aveva fatto una capatina dal barbiere, e il cuoio capelluto gli luccicava di sudore sotto i capelli brizzolati, tagliati quasi a zero. – Tom Everett. Schifoso, questo buco! Tom è sempre stato un fesso, ti ricordi? Passava il tempo col naso tuffato nelle sue storie di cowboys e la sua idea fissa era di sistemarsi nell’Ovest e di passare la vita a cavallo. – Slago scoppiò in una risata. – Ed eccolo benzinaro in un buco sperduto. Era caporalmaggiore, durante la guerra, e mi stava sempre appiccicato. Se l’è fatta addosso, quando sono arrivati i carri armati, a Bastogne. – È scappato? – domandò Corbin, il cui accento tedesco giustificava un interesse tutto particolare. Dietro gli occhiali senza montatura, gli occhi grigi si erano fatti torbidi. – È un fifone, questo Everett? – Non ha importanza – sogghignò Slago, mentre il suo faccione si illuminava per l’eccitazione. – Fra poco, non sarà più niente del tutto. – Dopo diciotto anni – osservò Mark – può darsi che non ci riconosca. – Io sono tranquillo – ribatté Slago. – Me, mi riconoscerà di sicuro. Mark pensò che da allora erano invecchiati tutti. Lui aveva quarantadue anni, adesso, e si faceva chiamare Mark Fleming ormai da tanto tempo che aveva quasi dimenticato il suo vero nome, quello che figurava sui registri di Ossining. Ma Jessie gli ricordava le avventure avute in quel lontano passato, ad Anversa, a Parigi... Sentì ancora la coscia morbida premere contro la sua, ma non voleva aver storie con Erich Corbin. Da troppo tempo stavano preparando quel colpo e sarebbe stata una fesseria sciupare tutto per una bionda. Anche se Jessie aveva vent’anni meno di Erich e ci stava, lui doveva mantenere le distanze per tener su il morale di Erich: in fin dei conti, era stato lui a pagare l`auto, e i suoi piani erano alla base di tutto. Mark pensava di poter avere ancora bisogno del piccolo chimico. Più tardi, se tutto fosse andato bene, ci avrebbe pensato... La stazione di rifornimento di Tom Everett, soffocata dal sole, sembrava minuscola sullo sfondo viola delle montagne che sbarravano l’orizzonte. Il nuovo tracciato della nazionale passava quindici chilometri più a sud, e non c’erano altre macchine in vista. Mark fermò a malincuore la grossa Cadillac: lo divertiva guidare quel’ macchinone di lusso. La stazione di rifornimento era composta di due distributori e di una baracca grigiastra, la cui porta era socchiusa. Un cartellone pubblicitario ormai stinto pendeva di traverso, da un supporto metallico. Un po’ più avanti, sul ciglio della strada, c’era una fila di catapecchie di legno, che sembravano disabitate; dietro a quelle un recinto per il bestiame, irto di cactus e di giunchi, offriva il pietoso spettacolo della rete metallica strappata. La strada deserta sembrava liquefarsi sotto il sole a picco. Mark diede un colpo di clacson, che ruppe per un attimo quel silenzio infuocato. Una porta sbatté, e Slago si sporse in avanti, con la faccia tesa. Tom Everett apparve all’angolo della baracca, con in mano un panino. Mark lo riconobbe immediatamente. Quel deserto tanto sognato aveva avvizzito Tom, spremendogli tutto il succo della gioventù. Ma era proprio lui, non ci si poteva sbagliare: il primo della lista. Con un po’ di fortuna, non sarebbero stati costretti ad andare più avanti. – Salve, Tom – disse Mark in tono amichevole. – Vi faccio il pieno, ragazzi? – Non mi riconosci, Tom? E il sergente, là dietro? Everett era alto e snello, coi capelli color paglia scoloriti dal sole, la faccia ossuta e candida, e gli occhi celesti e slavati. Scrutò Mark con stupore. – Tenente! Tenente Fleming! – Un sorriso si disegnò lentamente sulla faccia cosparsa di lentiggini. – Accidenti; è un sacco di tempo! Questa poi, che sorpresa ritrovarvi qui! Mary! – gridò. – Mary, ci sono gli amici di cui ti ho parlato tante volte! – Non chiamare tua moglie. Tom – disse prontamente Mark. – Aspetta. – Non sapevamo che fossi sposato, cow-boy – fece Slago. – Certo, certo che sono sposato – rispose Everett, rivolgendosi a Slago in tono diverso, mentre il suo sorriso si smorzava. – Saranno quattordici anni, fra poco. – Dov’è? – domandò Slago. – Laggiù, nella seconda casa – rispose Everett, indicando col dito. – Vado a chiamarla, eh? Avrete un po’ di tempo per bere una birra e mangiare un boccone con noi, no? – No, amico mio – rispose Mark. – Siamo venuti qui per parlare con te. – Notò con soddisfazione che Slago era sceso e gironzolava con aria distratta intorno al distributore di benzina, andando poi a piazzarsi dietro a Everett. – Ci sono delle novità – proseguì Mark – a proposito di Metzdorf. – Metzdorf? Accidenti! Si risale lontano, eh? – Ma te ne ricordi, no? – Eccome! – fece Everett, con aria perplessa. – E allora? – Ricordi la sfacchinata che ha dovuto sobbarcarsi il nostro plotone per sgombrare tutte le scartoffie dell’Officina di prodotti chimici? – Già, figurati se non me ne ricordo. Ma parleremo più tardi dei bei tempo passati. Dovete crepare di sete, ragazzi. – Everett parve accorgersi solo allora della coppia Corbin. – Forse la signora avrà piacere di rinfrescarsi un po’. È vostra moglie, tenente? – No – rispose, in tono secco, Mark. Jessie sorrise. Corbin aggrottò le sopracciglia, dietro le grosse lenti. – A proposito di quelle carte, Tommy... – Sì? La voce di Slago risuonò alle spalle di Everett. – – Non si potrebbe andare a discutere di questa faccenda in un posticino tranquillo? – Un posto tranquillo? Ma non c”è nessuno, qui, a parte Mary e me – replicò Everett, che incominciava ad allarmarsi. – Che cosa volete di preciso, ragazzi? – Cerchiamo una roba che tu hai fregato, cow-boy –brontolò Slago. – Io non ho mai fregato niente in vita mia! – ribatté Everett. Sentite, ragazzi, dovete aver preso un granchio. A pensarci bene, non sono tanto contento di rivedervi. Comincio a ricordare alcuni trucchetti che non mi erano piaciuti molto, a suo tempo. – Già che ci sei, cerca di «ricordare» anche quegli incartamenti – insistette Mark con voce melliflua, divertendosi nel vedere la faccia ossuta di Everett imperlarsi di sudore. – Ricorda ciò che è accaduto a Metzdorf, Tom. – Siete matti? Non c’è niente da ricordare. – Hai fregato qualcosa – dichiarò Slago, spazientito. – Stavamo caricando quelle carte sul camion, quando uno dei raccoglitori si è aperto. Tu l’hai mollato, e cadendo si è aperto, non ricordi? Sei sempre stato sbadato, cow-boy. E tutte le carte si sono sparpagliate nel fango. Everett aggrottò le sopracciglia. – Non mi ricordo. – Ma sì, che ricordi; Fai uno sforzo. – Io non ho mai rubato niente – ripeté Everett. – Sentite, ragazzi, tutto questo è storia vecchia. Voi piombate qua come se cadeste dal cielo e, senza gridare scansati, mi sottoponete pari pari ad un interrogatorio, come dei poliziotti. È uno scherzo, o che altro? – Non è uno scherzo – rispose Slago, sferrandogli un pugno alla nuca. A quarantaquattro anni, Slago era ancora forte come un orso e le sue spalle da scaricatore tendevano la variopinta camicia sportiva. Everett cadde bocconi nella polvere, davanti al distributore di benzina. Si aggrappò al parafango posteriore della Cadillac, ma Slago gli diede un colpo secco sulle dita. Everett rotolò di fianco e cercò di rialzarsi, ma il colosso lo prese a calci nelle costole. Il poveraccio lanciò un grido di sorpresa e di paura. Slago lo sollevò con una mano, gli sferrò un pugno alla bocca e lo scaraventò, con uno spintone, contro la porta della baracca. Everett scivolò lungo il graticcio e si accasciò, con la bocca sanguinante. Slago era stato veloce e deciso; gli piaceva il lavoro ben fatto. Jessie scese dalla macchina e la gonna ampia mise in mostra per un istante le lunghe gambe affusolate. – L’ha lui, Mark? – Non sappiamo ancora. – Lasciate fare a Slago, Mark. Questi annui. Sentì il profumo di Jessie, quando lei gli posò la mano sul braccio, e guardò Slago che sollevava da terra Everett. La donna aveva una blusa da campagnola, molto scollata, che lasciava intravedere il solco profondo, morbido e scuro, fra i seni, e il suo respiro si era fatto leggermente ansante. Mark avrebbe voluto sapere che cosa passava dietro quegli occhi viola. – Risalite in macchina, Jessie, e guardate se arriva la moglie. – Non è il caso che vi preoccupiate per me. – Non sarà uno spettacolo piacevole. – Può darsi che abbia visto di peggio. – Dove? – domandò Mark. Lei lo guardò fisso negli occhi, e il suo viso era impassibile e splendido. – Non siete molto sagace, Mark. Non sono domande da fare. Mark guardò Erich Corbin: sempre seduto sul sedile posteriore della Cadillac, sembrava si disinteressasse completamente di ciò che accadeva, e Mark fu invaso da una fiammata d`odio, brutale quanto illogico, per la flemma del tedesco. Voltò le spalle a Jessie e seguì Slago, che stava trascinando Everett, mezzo suonato, nella baracca. Nessuno li disturbò. Le case vuote che fiancheggiavano la strada, bruciata dal sole del deserto, sembravano pietrificate nel silenzio torrido e la moglie di Tom Everett dormiva, probabilmente. Si stava bene al riparo dei raggi implacabili del sole pomeridiano: fuori, sulla porta, un termometro segnava quaranta gradi; ma, all’interno, si aveva l’illusione di un po’ di frescura. C’erano un distributore di bibite, di sigarette, un vecchio registratore di cassa e una vetrina sudicia, che conteneva alcuni accessori per automobile, occhiali da sole e tavolette di cioccolata. «Poveraccio» pensò Mark. «Lui che sognava gloriose avventure nel Far West, finire in questo modo...» – Ora gli faremo sputare la verità – disse Slago con voce minacciosa. Slago era uno specialista. Everett non ebbe la possibilità di gridare e Slago non ebbe bisogno dell’aiuto di Mark. Si mise all’opera con ardore usando pugni e ginocchi, e per essere più persuasivo un lungo coltello a serramanico, dall’impugnatura di corno. Non ottennero la risposa che speravano. Everett respirava a stento, ma non aveva ancora perso conoscenza quando Mark gli si inginocchiò accanto, sul pavimento – Ascolta, Tom, sappiamo che esiste ancora, anche se è passato tanto tempo. Abbiamo fatto pubblicare degli annunci su tutti i giornali del paese, con la richiesta di ricordi di guerra: lettere con la firma di Hitler, per esempio. Abbiamo ricevuto un sacco di risposte, perché offrivamo un buon prezzo: la gente colleziona tanta roba, e nessuno si è interessato troppo da vicino ai nostri annunci. Infine, abbiamo ricevuto la risposta che aspettavamo, da Saint Louis. Era firmata «A. Greene», e c`era solo il numero di una casella postale; ma la lettera descriveva esattamente l’oggetto che cerchiamo. Abbiamo subito scritto all’indirizzo indicato, ma nessuno ha risposto, e non siamo riusciti a rintracciare A. Greene. Non è andato nemmeno a ritirare la lettera con la quale gli proponevamo di comprare gli autografi che possiede. Comunque, abbiamo avuto la prova che la cartella non è andata né smarrita né distrutta durante tutto questo tempo. Qualcuno della nostra squadra l’ha rubata da quel raccoglitore che si è sfasciato a Metzdorf: esiste ancora e noi la vogliamo. Della lettera firmata da Hitler che c’è appiccicata, non ce ne frega niente: se vuoi tenertela, fai pure. A noi interessano gli altri documenti che si trovavano in quella cartella. – Non so di che cosa state parlando – replicò Everett, in un rantolo. Il suo sguardo si appannò, tornò a posarsi su Mark e vi balenò un ultimo lampo d’ira. È Non ve la caverete così. Se credete di poter venir qui e piombarmi addosso come una banda di sciacalli,... quello che cercate, non ce l’ho io. Ma non andrete a chiederlo agli altri ragazzi della squadra, ve lo dico io. Avvertirò lo sceriffo... Slago ricominciò a picchiare, un quarto d’ora dopo dovette arrendersi all’evidenza: quando smise soffiava come un bue e aveva le labbra tirate in un ghigno di piacere sadico; la camicia sportiva era tutta inzuppata. Accasciato contro la vetrina, Everett non si muoveva più: la sua faccia era ridotta a una maschera sanguinolenta e i calzoni cachi erano imbrattati di sangue. – Non ce l’ha ammise Slago. – Non è stato lui. – D`accordo – fece Mark. – Finiscilo, se no chiamerà i poliziotti e racconterà tutto su quello che gli abbiamo chiesto. Ce ne sono altri, sulla lista. – E sua moglie? – Lasciamo che scopra il cadavere per conto suo. Non ci ha visti. Slago annui, impugnò il coltello e si chinò sull’uomo privo di sensi. Mark vide i bicipiti di Slago gonfiarsi nella frazione di secondo in cui tagliava la gola a Everett. Girò gli occhi dell’altra parte, stupito di sentire una nausea improvvisa contrargli lo stomaco, e si affrettò ad uscire. Slago lo raggiunse subito dopo. – Che fesso! – disse, a guisa i orazione funebre. Jessie e Erich Corbin aspettavano a bordo della Cadillac. La strada deserta abbacinava. Mark cavò di tasca un piccolo taccuino, lo aprì e strappò la prima pagina, sulla quale era segnato il nome di Tom Everett. – Chi è il prossimo? – domandò tranquillamente Jessie. – Si va nell’Indiana. John Miller. – Quel disgraziato! – esclamò allegramente Slago. Così, l’operazione era incominciata, e stavano risalendo verso nordest, in direzione di Saint Louis. Ora che il primo passo era stato fatto, non potevano più tirarsi indietro. Mark non aveva mai ucciso fino a quel momento, tranne in guerra, dove le sue prodezze gli avevano fruttato la nomina a tenente, sul campo. Sapeva che non avrebbe cambiato nulla il fatto che fosse stato Slago a commettere materialmente il delitto: erano tutti colpevoli allo stesso modo, anche Jessie, coi suoi occhi viola, lo sguardo freddo, il corpo splendido e il bel viso impenetrabile. Ma, ormai, non potevano far altro che continuare. Mark aveva passato quattordici anni della sua vita nei traffici loschi della costa occidentale, dove lavorava per il Consorzio: stupefacenti, gioco e vizi di ogni genere. In guerra, come molta altra gente, Mark si era familiarizzato con la violenza e col pericolo, e quella nuova attività gli era sembrata la soluzione migliore: era il mezzo più semplice per farsi un gruzzolo in fretta e per vivere bene il resto dei suoi giorni, come un signore rispettabile. Sennonché, non era andata proprio così, e Mark si era messo a sfruttare le donne. Quella di West End Avenue gli aveva reso seimila dollari, e quella prostituta bionda di Westport, nel Connecticut, gli aveva lasciato i suoi gioielli. Lui aveva tutto quello che ci voleva: un fisico prestante e le capacità richieste, la disinvoltura e una vernice di educazione. Ma Mark non si faceva illusioni sul proprio conto: sapeva benissimo di essere un individuo che aveva passato tutta l’infanzia nei rigagnoli e di esserne rimasto marchiato per tutta la vita. E, d’altronde, non ci teneva in modo particolare a dimenticare le proprie origini. Erich e Jessie Corbin lo avevano scovato quattro mesi prima, a New York, dove Big Socks Johnson lo aveva delegato come proprio rappresentante. Avevano già pescato Slago, che faceva il camionista nell’impresa di trasporti che mascherava i traffici di Pat Angeli. Jessie lo aveva trovato al bar di Johnson, nella Cinquantaquattresima Strada, e l’aveva condotto da suo marito, il chimico. Da un anno, Corbin era in America e lo cercava. Mark aveva dapprima rifiutato decisamente le proposte di Erich, perché gli erano sembrate tutte balle. Ma Erich gli aveva mostrato i documenti e gli aveva spiegato che cosa avrebbero potuto fare, se fossero riusciti a ritrovare i fogli mancanti. Allora avevano incominciato a cercare. Era un lavoro lungo, ma Corbin aveva i mezzi per mantenere tutti lussuosamente. E sembrava paziente, anche per quanto riguardava Jessie. Guidando la grossa Cadillac, Mark osservava con la coda dell’occhio la figuretta slanciata della donna e sentiva la morbidezza dell’anca che si appoggiava alla sua, nelle curve. Ad un tratto, i loro sguardi s’incrociarono nel retrovisore. Gli occhi di Jessie erano assolutamente impassibili, di un viola profondo. Sorrise innocentemente. – Guardate la strada, Mark – disse con voce grave e bene impostata. – E non correte troppo. Sarebbe sciocco farci fermare da un poliziotto del luogo, per eccesso di velocità. E posò una mano leggera sul suo ginocchio. Mark pensò che lei doveva aver capito cosa voleva lui. Era a buon punto ormai. John Miller faceva l’imprenditore ad Harlanville, nell’Indiana. La regione era pianeggiante e si prestava stupendamente alle operazioni immobili; infatti Miller aveva concluso grossi affari durante gli ultimi quattordici anni. Stava pensando addirittura di lanciarsi nella politica. Era celibe, e abitava in un attico in cima al Hoosier Arms, che a New York non avrebbe forse lasciato a bocca aperta nessuno, ma che testimoniava un tenore di vita di primissimo piano ad Harlanville. Già presidente dell’Associazione Ex-Combattenti, John era membro attivo del «Rotary» e del club dei «Lions», oltre che direttore dell’associazione sportiva. Ogni sera, aveva l`abitudine di fare un giro in macchina per sorvegliare lo sviluppo delle costruzioni del suo ultimo cantiere. Uomo d`affari prudente e meticoloso, controllava sempre personalmente il lavoro dei suoi carpentieri e muratori. ll cantiere era a tre chilometri dall’associazione sportiva, sulla riva del Dearing River, dove Miller aveva comprato, per un tozzo di pane, dei magnifici pascoli. Le case erano minuscole, piccole scatole rettangolari dal tetto piatto, tutte uguali, e di una bruttezza deprimente; ma per Miller erano magnifiche, perché le vedeva solo dal lato del guadagno. Fermò la macchina vicino alla baracca del cantiere e si avviò a piedi lungo la pista di buche e di solchi, che fra, poco sarebbe diventata la strada principale dell’agglomerato. L’aria era pesante, temporalesca. Fra poco sarebbe incominciato a piovere, e la pioggia portava sempre ritardi nel lavori di costruzione. John fu sorpreso di vedere la Cadillac ferma accanto alle ultime costruzioni, e ancora più sorpreso nel vedere il sergente Slago avanzare verso di lui. La sorpresa di Miller fu quasi subito sostituita dall’odio, scaturito dal baratro nero in cui lui l’aveva cacciato da un pezzo. Per più di un anno, dopo la smobilitazione, Miller aveva sperato di incontrare Slago in un cantuccio tranquillo e di tempestarlo di botte, finché non si fosse trascinato ai suoi piedi implorando grazia. Anche adesso, provava ancora un vago senso di colpa, come se avesse eseguito male qualche idiota mansione impostagli dal sergente, e si fermò a guardare Slago che si avvicinava con quel passo pesante e dondolante che lui conosceva tanto bene. «Un vero gorilla» pensò Miller. «Non è cambiato affatto.» E nello stesso tempo, si rese conto che il proprio ventre era grasso e flaccido come quello di una donna, e ancora più floscio che durante la guerra. Ebbe paura. Ma Slago sorrise, e la sua stretta di mano fu franca e amichevole. Miller sentì svanire colpevolezza e odio. Vide il tenente Mark Fleming scendere a sua volta dalla Cadillac e provò una certa soddisfazione al pensiero di poter mostrar loro il proprio successo sociale. Ma la loro comparsa inattesa lo sconcertava. Slago non perse tempo. Andò dritto al sodo. – Metzdorf? – fece Miller. – Se credi che io ricordi... Non facevo nemmeno parte di quel servizio, io. – Sì, c’eri anche tu – replicò Slago. – Ricordo perfettamente. – E che importanza può avere, comunque? Tutto ciò è morto e sepolto da un pezzo. Non sarete mica venuti a trovarmi solo per questo? Dite un po’, ragazzi, rientriamo in città e pranziamo insieme. Passeremo una bella serata. Potrei perfino pescarvi qualche ragazza. Stavolta, Jessie ed Erich Corbin non avevano accompagnato Mark e Slago. Erano rimasti al motel, a dieci chilometri da Harlanville. Miller sorrise, ma con uno sforzo penoso, nel vedere lo sguardo sinistro di Slago. Fece un altro tentativo. – Suvvia, venite, non vorrete restare qui? – aggiunse nervosamente. – Non si va da nessuna parte – ribatte Slago. – Non prima che tu ci abbia risposto. – Ma se ti dico che io non c’ero. Del resto, non vedo che cosa abbia Metzdorf di tanto importante, Non mi ha lasciato alcun ricordo. Slago si mise bruscamente al lavoro. Cazzottare quel ciccione, era un giochetto. Stavolta ci andò più piano, lasciando che Mark rivolgesse più domande fra una ripresa e l’altra, perché Corbin aveva detto che nell’Arizona erano andati forse un po’ troppo in fretta. Il cantiere era deserto, stava scendendo la notte e il fiume scorreva placido fra i salici piangenti. Slago non si preoccupò degli strilli di Miller. Non c’era nessuno, nei paraggi, che potesse accorgersi di ciò che accadeva. Dopo dieci minuti, Mark si ritenne convinto. Slago si arrestò, ansimante. – Altro fiasco. Non ha quel coso. Avrebbe già sputato il rospo da un pezzo, se lo avesse lui. D’accordo – fece Mark – liquidalo. Slago sfoderò il coltello. Erano a più di centocinquanta chilometri da Harlanville, quando Mark scelse un motel per passarvi la notte. Mentre Slago andava dal gerente a sistemare la questione della camera, Mark cavò di tasca il suo taccuino nero, strappò una pagina e l’appallottolò nella mano. La fece quindi scomparire, bruciando la nel portacenere della Cadillac. – A chi tocca? – domandò Erich Corbin. – A Perry Hayward. New York. – Benissimo, andremo da lui – fece Corbin accomodandosi gli occhiali sul naso sottile e pallido. Indossava un abito di cotone a righe e una cravatta a fiocchetto, impeccabile. – Andrà tutto bene, Mark. Useremo gli stessi metodi. Quando un uomo soffre nella carne, è dispostissimo a dire la verità. In questo, Slago è perfetto. La lettera e gli altri documenti esistono: lo prova la risposta al nostro annuncio. Uno degli uomini che facevano parte del vostro plotone quel giorno, li ha ancora. Può darsi che li conservi soltanto come ricordo, poiché sono poche le persone che hanno una conoscenza sufficiente della chimica per capire il contenuto dei documenti che accompagnavano la lettera di Hitler – aggiunse Corbin con un sorrisetto. – Altrimenti, avremmo già sentito parlare di quel prodotto. – E se commettiamo qualche sbaglio con uno di quei tizi? – Sta a voi assicurarvi che non ci siano sbagli – replicò Corbin, con voce pacata. – Naturalmente, avreste potuto recitare la parte del vecchio compagno di reggimento e andare a far visita a ognuno di quegli uomini, perquisire tranquillamente la sua casa e interrogarlo senza destare sospetti. Quando si ricordano i bei vecchi tempi, che cosa c’è di più naturale che passare in rivista tutti i cimeli che si trovano in casa? Sennonché, sareste stato solo, “nein’? Difficilmente avrei potuto accompagnarvi. E se foste riuscito a sapere qualcosa, ve lo sareste tenuto per voi. Per un istante, Mark lo guardò con una grinta minacciosa. – Vedo che avete una fiducia cieca, in me. – Mio caro, io non ho nessuna fiducia in voi – precisò Corbin, sorridendo cortesemente. – Ma non dovete offendervi per questo. Ci sono in ballo dei milioni e sono un po’ troppi perché possa regnare la fiducia fra di noi. Non ci sarà in tutto il paese una banca abbastanza sicura. Ma per riuscire, come vi ho già spiegato, bisogna che la polizia non possa fare un accostamento qualsiasi fra gli uomini che cerchiamo. Chi si ricorderà che hanno fatto la guerra insieme, dopo tanti anni? L’unico modo di evitare incidenti, è di eliminarli.

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