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Letture critiche del Decameron PDF

354 Pages·1986·15.228 MB·Italian
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nian u mmn i i hI ] OD ), È ( 7 dA |L|LI U I De METROPOLITAÀN TORONTO | aida LIBRARY _ | Languages 4068 ministero p| a | BENI CULTURALI E AM | "UFFICIO CoTRALE PERI BENI UBRARI E GLi ISIITUTI GULTURALI UFFICIO DEGLI SCAMBI INTEKHAZIONALI À PRI ® I ilin p ITA" METROPOLITAN Coq TORONTO |, LIBRARY ì e languaga& — i Finito di stampare nel dicembre 1985 nello stabilimento d’arti grafiche Gius. Laterza & Figli, Bari CL 20-2670-8 ISBN 88-420-2670-0 Aila memoria di Benedetto Croce dedica queste Letture critiche del Decameron un suo sempre molto memore discepolo. Marina di Pietrasanta, 27 maggio 1956. Digitized by the Internet Archive in 2022 with funding from Kahle/Austin Foundation » https://archive.org/details/letturecritiched0000russ AVVERTENZA Raccolgo in un volume delia « Biblioteca di cultura mo- derna » le Postille critiche che avevo stampato nel 1938 col Sansoni di Firenze in appendice a una scelta di 25 no- velle del Boccaccio e del Proezzio e dell’Introduzione al Decameron. Il volume sansoniano va per conto suo, con le novelle e senza le postille, mentre ristampo qui tali Postille critiche, ammodernandone il titolo in Letture cri- tiche del Decameron. Si tratta di piccoli saggi critici che possono impegnare al di là degli interessi ristretti della scuola. Ecco quindi un volume analogo ai Personaggi dei Promessi Sposi, che già è stato, nel giro di un decennio, ristampato tre volte. È mia intenzione di costituire accanto ai Ritratti e di- segni storici quest'altra serie di Letture critiche, perché si veda accanto al lavoro dello storico l’altro lavoro più mi- nuto del lettore e critico di poesia, poiché a me pare che le due attività non possano andare disgiunte. Storia quella che traccia ritratti e disegni storici, critica vera e propria questa che favorisce una lettura puntuale dei testi. Così è probabile che in seguito io pubblichi anche delle letture petrarchesche, ariostesche, tassesche, foscoliane, leopardia- ne e via discorrendo. Testimonianze tutte queste di un mio lavoro assiduo e mai interrotto ‘da quarantacinque anni a questa parte. Giacché ci siamo, vorrei insistere su questa distinzione tra lo storico della letteratura, e il critico puntuale (o lettore critico) di questo o di quel testo. Questa doppia tradizione si trova già nel De Sanctis, che da una parte ha la Storia vi della letteratura italiana, e molti dei saggi critici, sparsi per i tre volumi che sono la Storia «in nuce »; e dall’altra degli scritti con cui il grande irpino si fa critico e lettore di poesia. Anche nel Croce del resto, che per la vastità del suo lavoro dovette trascurare questa parte che egli in- giustamente chiamava didascalica, se si vanno a studiare le singole indicazioni che egli ha dato in tutti i saggi dei sei volumi della Lerteratura della nuova Italia, o in Poesia antica e moderna, noi ritroviamo un critico della poesia, e non soltanto uno storico. In un certo senso anche in lui ci era stato attorno al 1921 una specie di irrigidimento mentale sul canone di poesia e non poesia, irrigidimento reso più visibile dagli atteggiamenti di qualche scolaro: tale canone, se si va a vedere, avrebbe finito con l’essere il rammodernamento del vecchio metodo gesuitico delle bel- lezze e delle mende di un’opera d’arte. Naturalmente il la- voro della distinzione della poesia e non poesia ha sempre un’importanza propedeutica, ma non bisogna fiaccare l’uni- tà dialettica dei due momenti. Importantissimo per questa ripresa su se stesso del Croce il saggio sul Tasso, maturato tra il ’28, con la Storia dell’età barocca in Italia (capitolo: La poesia e la letteratura), e il saggio del ’37, intitolato Torquato Tasso, Su alcuni luoghi della « Gerusalemme ». Quindi noi vogliamo con la pubblicazione di questi volumi nostri rendere pubblica quella riforma personale che per conto nostro abbiamo attuato nel nostro lungo insegnamento universitario. Marina di Pietrasanta, aprile 1956. LUIGI RUSSO [Per la presente edizione il testo è stato tutto riveduto. (C. F. Russo. Marina di Pietrasanta, giugno 1967).] 8 PROEMIO ALLE DONNE La prima pagina del Proemio (Umana cosa è l'avere com- passione agli afflitti ecc.) dovrebbe essere stata scritta con una certa malizia, e un certo sorriso di civetteria: io nella prima giovinezza, vorrebbe dire lo scrittore, ho sofferto molto per amore e grandemente ho gradito il conforto altrui; è dunque giusto che ora faccia io il consolatore de- gli afflitti e delle afflitte, essendomi tratto dai più cupi pelaghi dell'amorosa passione. A leggerla oggi tutta la pagina, si sente che il Boccaccio ha messo un impegno grave nel ragionare la sua trovata maliziosa, e n’è venuto fuori qualcosa di pesante e di involuto. Specialmente quel dire di Dio e delle sue attribuzioni teologiche, e della sua in- finità rispetto alla finità delle passioni umane (sf come @ Colui piacque il quale, essendo egli infinito...) ha qualcosa di pedantesco che può parere perfino irriverente. Dante, con una semplice espressione (Se fosse amico il re dell’uni- verso...), e pur facendo parlare una peccatrice dal fondo dell’inferno, e una peccatrice che riafferma con voluttà il perpetuarsi della sua pena, pone una distanza infinita tra Dio e quella creatura. Qui, in Boccaccio, nonostante la pe- danteria del costrutto, si pone una dimestichezza un po’ grossa tra Dio e un uomo involto nei piaceri delle fatiche di amore, e vengono fuori dei girigogoli barocchi e gravi, riflesso di quel suo cattolico superficiale sentire. Dio è su- bito rapidamente dimenticato, e resta un puro e semplice cappello proemiale. Il periodo invece è dominato dal ri- cordo di quel faticoso e dolce tragitto di amore; la protasi teologica è propriamente schiacciata dal giro anfrattuoso 9 del periodo, dove tutto ragiona soltanto d’amore. Se do- vessi definire il tono della pagina, direi che è quella di un monello che si metta ad argomentare da pedante, e finisce con l’essere impacciato anche come pedante; in ogni modo, questa ostentata pedanteria riesce a confermare la malizia originaria dello scrittore, questo suo mezzo sorriso pieno di sottintesi !. AI di là di questo valore artistico della pagina, cogliamo alcune espressioni, interessanti dal punto di vista o bio- grafico o psicologico. Alludendo all’altissimo e nobile amore per Fiammetta, l’A. accenna alla propria bassa condizione. Il Boccaccio nelle opere giovanili, attraverso le trasfigura- zioni allegoriche della sua nascita e della sua giovinezza, avrebbe voluto vantare nobiltà di origini almeno da parte della madre parigina, quella Jeannette de la Roche, così identificata dagli ultimi studi, e che egli qualche volta pre- senta come una principessa (probabilmente fu la figliuola di un sarto). Si indovina un sentimento di vanità sociale nel Boccaccio, natogli per quella vita alla corte di Napoli, e che poi si riflette anche in qualche sua lettera; sentimento che non resta però in un piano inferiore, e si trasforma in un gusto della vita gentile, quel gusto che ha ispirato molte scene cavalleresche e auliche del Decameron. Siamo col Boccaccio alla vigilia di una trasformazione politica della società, quando spariscono le libertà comunali e i governi popolari, e .la vita si accentra nelle corti e si riconosce la supremazia di un principe o di un signore. Le corti dei signori segnano allora una specie di miraggio per gli uo- mini nuovi. Dante, che vive in tempi di governi democra- tici, appunto perciò è più istintivamente aristocratico: sde- gna «il villan d’Aguglione e quel di Signa », e gli uomini del contado che affluiscono a Firenze da Figline o da Cer- taldo; e al tempo stesso non s’inchina mai, con unzione di uomo socialmente inferiore, a signori, a principi. Da Cor- rado Malaspina a Carlo Martello, egli tratta i principi suoi 1 Si veda una buona nota del MmoMIGLIANO, 49 smovelle, Milano, Vallardi, 1924, n. 1, p. 1. 10

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