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20 Pages·2008·0.18 MB·Italian
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Antonio Rossini 328 IL FUOCO GRECO: LA VIA DI LUIGI MALERBA AL ROMANZO STORICO POSTMODERNO Non potevo deludere i giornalisti e perciò stavo al gioco ormai persecutorio delle metafore: la Foresta Pietrificata doveva essere per forza il segno e il simbolo di qualcosa d'altro, della futura pietrificazione della nostra civiltà, una visione apocalittica del Pianeta [...]. Avrei voluto dire che la Foresta Pietrificata non simboleggiava nulla ma era semplicemente una immagine del nostro Pianeta, che il mondo io lo vedevo proprio così come una tragica scenografia fossile. Ma perché deludere l'intelligenza e la fantasia che dagli altri si trasferiva sui miei quadri? (Luigi Malerba, Le pietre volanti) I l Fuoco Greco di Malerba è innazitutto un romanzo storico ma, grazie alle grandi capacità di affabulazione e all'erudizione stessa del suo autore, non si può non considerarlo anche un romanzo storico "postmoderno". Prima di presentare un'analisi del romanzo svolta secondo i criteri narratologici ed attanziali di Genette (Figures III) e Greimas, è nostra intenzione discutere la dimensione "postmoderna" di una narrativa che ha per oggetto eventi storici, rifacendoci alle formulazioni di uno dei suoi maggiori critici. Nel suo saggio Postmodernist Fiction, in una rigorosa analisi di quella che definisce "classic historical fiction", Brian McHale stabilisce con accuratezza quali sono le limitazioni a cui la narrativa a sfondo storico debba attenersi. I romanzi storici classici non mettono in scena dei personaggi che agiscano in modo difforme da ciò che è "the 'official' historical record" (p. 87) ma possono trattare fatti che sarebbero potuti accadere nelle "dark areas of History, that is [...] those aspects about which the 'official' record has nothing to report" (p. 87). La seconda limitazione riguarda la Weltanschauung comunemente Il Fuoco Greco di Luigi Malerba 329 condivisa nel periodo che viene trattato: essa non può essere stravolta e va riprodotta il più fedelmente possibile: "Just as historical figures may not behave in ways that contradict the 'official' record, so the entire material culture and Weltanschauung of a period may not be at variance with what 'official' history tells us about the period" (p. 88). Ultima limitazione è quella che rigetta ogni elemento fantastico dal dominio del romanzo storico: "historical fictions must be realistic fictions; a fantastic historical fiction is an anomaly" (p. 88). Pare legittimo quindi domandarsi quali siano le "fonti" dell'"official historical record" riguardanti il periodo della storia bizantina che va dal 957 d.C. al 970 d.C. Nulla può stupirci in un autore sofisticato come Luigi Malerba che nel suo Pianeta Azzurro è capace di citare in piena disinvoltura da autori come Svetonio (p. 59), Gregorio di Nissa (p. 64), Lattanzio (p. 149) e l'abate Fredegiso di Tours, discepolo di Alcuino (p. 335); ma - fatto che conferma la grande curiosità intellettuale dell'Autore - alla lista deve aggiungersi una coppia di citazioni che provano già ai tempi del Pianeta Azzurro un interesse ben più che amatoriale per la storia bizantina. La prima è riferita al Liber de ceremoniis aulae byzantinae di Costantino VII Porfirogenito (Pianeta, p. 73) mentre la seconda, più vaga ma altrettanto interessante, è una menzione delle "esicastiche", le "melopee mistiche inventate nel Medioevo dai Bizantini" (Pianeta, p. 309) con lo "scopo terapeutico" di calmare le passioni. Il famoso imperatore "porfirogenito" viene menzionato anche nel Fuoco Greco (p. 72) anche se il suo scritto non viene tenuto presente alla stregua di quello delle due fonti principali disponibili per il periodo scelto da Malerba. Si tratta della Relatio de Legatione Constantinopolitana del vescovo Liutprando da Cremona1, edita dal Dümmler nel 1877, e della ponderosa Historia di Leone Diacono2 che copre in dieci libri (dal 959 al 976 d.C.) i fatti più importanti relativi al periodo sub iudice. Quest'ultima è scritta in greco ma sin dalla sua pubblicazione nella Patrologia Graeca del Migne nel 1894 al testo fu affiancata un'accurata traduzione latina dello Hase. 1 Liutprando da Cremona era stato ambasciatore a Bisanzio proprio sotto Costantino VII Porfirogenito ed ivi ritornò in missione diplomatica nel 968 d.C. quando era imperatore Niceforo Foca, uno dei protagonisti del romanzo. 2 Può esser considerata l'unica fonte primaria per il regno di Niceforo e di Giovanni Zimisce. Da essa dipendono le trattazioni seriori, come quella dello Zonaras e ci piace sottolineare come di essa si sia conservato un solo manoscritto, il Parisinus 1712. Antonio Rossini 330 Dobbiamo ora chiederci che tipo di rapporto un autore di romanzi storici debba stabilire con le sue "fonti" perché possa dirsi "postmoderno". McHale, nel saggio già citato, sostiene che deve verificarsi una "distorsione" delle fonti e che essa in genere si realizza grazie a tre strumenti: "by violating the constraints on 'classic' historical fiction: by visibly contradicting the public record of 'official' history; by flaunting anachronisms; and by integrating history and the fantastic. Apocryphal history, creative anachronism, historical fantasy" (p. 90). Nel suo serrato confronto con le due fonti indicate Malerba ci abitua ad un uso sottile dell'"apocryphal history" tralasciando invece i domini della "historical fantasy" e del "creative anachronism". Questi due ultimi sono rigidamente esclusi poiché mai l'Autore introduce elementi fantastici nella narrazione né azzarda alcuna violazione della serie temporale. Sempre secondo l'autore di Postmodernist Fiction la sostanza dell'approccio scelto da Malerba poggia sul fatto che: "Apocryphal history contradicts the official version in one of two ways: either it supplements the historical record, claiming to restore what has been lost or suppressed; or it displaces official history altogether" (p. 90). Malerba si orienta decisamente verso il secondo atteggiamento senza tralasciare del tutto il primo. È meglio riassumere i tratti salienti di questa strategia narrativa in riferimento a ciascuna delle due fonti. La Relatio de Legatione Constantinopolitana di Liutprando è divisa in un piccolo preambolo dedicatorio seguito da 65 capitoli. Di essi i capitoli 1, 2, 11, 13, 19, 25 e 35 sono strettamente collegati ai capitoli 19 e 33 del Fuoco Greco poiché in essi sono rintracciabili tutti i dati e le informazioni relative alla visita del vescovo di Cremona ripresi da Malerba fin nei minimi dettagli con una sola inserzione ex novo: quella riguardante gli uccellini ed i leoni meccanici che nella Sala del Trono Niceforo usa per impressionare il prelato e che finiscono per disturbare (v. infra) lo svolgimento della conversazione. Questo vale anche per la Historia di Leone Diacono, i cui dieci libri vengono costantemente seguiti da Malerba. Questi, pur aderendo alla temperie spirituale di un determinato episodio e pur riprendendone il suo "congegno" narrativo, vi apporta però profondi stravolgimenti. Ciò si rende esplicito nei capitoli 5, 6, 7, 8, 9 e 10 del Fuoco Greco che segnano una notevole differenza rispetto al capitolo 11 del libro secondo ed i capitoli 6, 7, 8 e 9 del libro terzo dell'Historia in quanto a) il nome dell'eunuco che trama contro Niceforo non è Giovanni Bringas bensì Giuseppe, b) sia il trionfo/acclamazione di Niceforo sia la fuga dell'eunuco (che nel Fuoco Greco muore) sono risolti in modo Il Fuoco Greco di Luigi Malerba 331 diverso, c) non è Teofane a sedurre Niceforo ma egli è spinto alle nozze da alcuni monaci. La stessa tecnica regola il riuso dei capitoli 4 e 6 della Historia che ci danno un resoconto dell'assassinio di Niceforo Foca diverso da quello dei capitoli 30 e 33 del Fuoco Greco. Nella sua variatio ο deliberata distorsione delle fonti Malerba segue però alcuni criteri ben precisi: sottolineare la fragilità della comunicazione umana, sia essa diplomatica ο curtense, evidenziare la pericolosità di alcuni individui innamorati perdutamente del potere (come il "Professore" del Pianeta Azzurro) e mettere a fuoco il ruolo fatale della bellezza e della lussuria incarnate da Teofane. Non sfugge l'attualità di tali tematiche e questo non deve stupirci se è vero, come Hayden White sostiene in Metahistory, che: [...] simply because history is not a science, or is at best a protoscience with specifically determinable nonscientific elements in its constitution, the very claim to have discerned some kind of formal coherence in the historical record brings with it theories of the nature of the historical world and of historical knowledge itself which have ideological implications for attempts to understand "the present", however this present is defined. To put it another way, the very claim to have distinguished a past from a present world of social thought and praxis, and to have determined the formal coherence of that past world, implies a conception of the form that knowledge of the present world also must take, insofar as it is continuos with that past world. (p. 21) Appena dopo la pagina occupata dal titolo, in quello spazio che Genette ha definito "peritesto" (Seuils) c'è una sorta di premessa che tratta diffusamente del "fuoco greco", la famosa arma segreta di Bisanzio. I caratteri del testo di questa pagina che precede il primo capitolo sono più piccoli e l'istanza narrativa non è sostenuta da nessuno ma lo stile asciutto ed "enciclopedistico" ci porta nella direzione di una "scheda storica" sentita come necessaria dall'Autore stesso - e qui intendiamo il Malerba - autore che firma la copertina del romanzo - che ne prende la responsabilità in bilico fra "margini editoriali" (risvolto di copertina, premessa, nota storica, ecc.; soluzioni tutte plausibili ma non adottate) ed inserimento nella narrazione propriamente detta. La narrazione si apre con la presentazione dell'Imperatore Costantino VII Porfirogenito alle prese, nel 957, con un grave problema di carattere architettonico: la sala tricliniare, in cui si ricevono importanti delegazioni straniere ha problemi di acustica, Antonio Rossini 332 problemi che causano addirittura incidenti diplomatici. Gli elementi di riflessione e quelle che Eco definirebbe "isotopie critiche" (Lector, pp. 92-93) sono molteplici: 1) Malerba ha la vocazione di descrivere le "grandi transizioni" ed i nodi epocali. Si pensi a Le pietre volanti da cui la nostra espressione "grandi transizioni" è tratta (p. 16). Nei nodi epocali si annida il pericolo del "caos", più ο meno felice che sia e più ο meno trainato da impressionanti cambiamenti tecnologici (si pensi a questo proposito alle descrizioni del cielo attraversato dai segnali radio in certe felici pagine de Il protagonista) ed i problemi stessi di incomprensione tra l'imperatore e gli ambasciatori possono portare alla guerra con tutti i popoli che premono ai confini dell'impero romano d'Oriente. 2) Nella descrizione del problema sopravvive una reminiscenza allusiva della confusione di Babele, l'impotenza a comunicare dovuta a una diversità non risolta, e questa si esempla nel capitolo 2 dove (ma al momento di quel banchetto gli inconvenienti "acustici" si debbono considerare risolti) si mostra quanto composita e variegata in termini di razze e lingue sia la compagine dell'impero bizantino e quanto forti siano le spinte alla disgregazione. 3) La scelta di un imperatore "porfirogenito" non può essere casuale. Sotto questa dinastia si inaugura una forma di dispotismo accompagnata da alcuni ritocchi costituzionali che gli storici concordano nel considerare forieri della decadenza bizantina. Una allusione al dispotismo che - proprio nel "sorprendere" il lettore al principio del romanzo - ci ricorda la crudeltà dell'imperatore cinese nell'altro bel libro di Malerba, Le rose imperiali, è rintracciabile sicuramente nella punizione inflitta al primo architetto che fallisce nel risolvere i problemi di acustica della sala (p. 11): deportazione e reclusione in un monastero in Bitinia (punizione assai ricorrente in questo romanzo e che, ripresa da Leone Diacono, sostituisce la decapitazione de Le rose imperiali). Per quanto concerne i ritocchi costituzionali vanno ricordate due cose fondamentali che il lettore deve attivare nella sua "competenza enciclopedica" quando si accinga a leggere fatti riguardanti i "Porfirogeniti": a) sotto questa dinastia fu stabilito per la prima volta il principio di legittima successione a patto che i discendenti dell'imperatore venissero alla luce in una speciale camera detta "porfirea", principio inteso a moderare i segni ormai intollerabili della maladie du trône, espressione proverbiale del desiderio irrefrenabile di diventare imperatori che coglieva tutti nella corte di Bisanzio. b) per evitare che l'aristocrazia di corte assumesse Il Fuoco Greco di Luigi Malerba 333 troppo potere tutti i funzionari di alto livello furono sostituiti da eunuchi, meno inclini alla ribellione (anche se nient'affatto immuni dalla "malattia del trono") anche perché incapaci di procreare e fondare una dinastia. 4) I due persiani che "riparano" il Triclinio operano in base agli antichi principi pitagorici di armonia e proporzione. Questo prepara la strada alla discussione del secondo capitolo su Aristotele e la geometria "al finito" e "all'infinito". È indubitabile che alle preoccupazioni politiche sulla disgregazione di un impero si accompagni la "riflessione teorica" - per quanto solo apparentemente oziosa - su di un universo che, affidato compatto e rassicurante dall'antichità classica ai posteri, si affaccia comunque ad uno scenario completamente nuovo e cosmopolita. Ciò è ancor più vero se questa riflessione/discussione si svolge sotto gli occhi della alternativa "vivente" e "pragmatica" a questa "serenità/sterilità" classica, e cioè l'Emiro di Mosul e Aleppo Saif al-Dawla che fìnge di non intendere il greco. Il "caos" di cui parlano il Teologo ed il Matematico (p. 19) è il doppio scientifico delle guerre e delle distruzioni causate dalle orde saracene. L'introduzione di una geometria "all'infinito" è generatrice di "caos" perché proietta i suoi oggetti all'ignoto così come verso l'ignoto la gretta corte bizantina viene proiettata dagli attacchi continui dei popoli asiatici. 5) La scelta degli anni che vanno dal 950 al 1000 d.C. permette insomma a Malerba di presentarci l'impero bizantino alle prese con tre dei suoi più feroci nemici: i Saraceni, i Bulgari e gli Sciti che costituiscono però un pericolo solo apparente visto che, invece, in una stringente logica di tipo binario, ci si consenta di dire booleano3 (che ci accompagnerà per tutto il romanzo), le minacce alla stabilità politica 3 Questa idea di opposizione binaria fra i dati della realtà era già ben presente (oltre che ne Le pietre volanti, come si vedrà) ne Il Pianeta Azzurro. Nel primo passo l'autore dei quaderni parla di un problema di calcolo esprimendosi così: "[...] senza lo zero non ero in grado di fare nessun calcolo. [...] Ma l'epoca degli ingranaggi leonardeschi è finita, mi dicevo, siamo entrati nell'era elettronica, circuiti stampati e sistema binario. Avrei potuto forse adottare anch'io il sistema binario usato dai calcolatori elettronici [...]" (pp. 19-20). Nel secondo è sempre Demetrio a menzionare il sistema binario di cui però qui si lamenta la limitatezza: "La filosofia non ha mai preso in considerazione il problema degli attriti [...] affidandosi piuttosto a una logica binaria nella quale vengono prese in considerazione solo due opposizioni. [...] Dalla logica tradizionale questo sistema di opposizioni binarie è stato trasferito ai computers che con il loro 0 e 1 hanno perciò adottato i due estremi del sistema logico [...]" (P. 103). Antonio Rossini 334 del regno provengono dalla lussuria di Teofane ο dalla sua negazione, cioè dalla "inevitabile castità" degli eunuchi, tutti concentrati nella corsa al potere, ο da quella forzata di Niceforo Foca costretto all'ascesi dal Patriarca Polieuto. * * * Il romanzo è costituito da 35 capitoli introdotti dal semplice numero arabo che coprono vicende che vanno dal 957 d.C. al momento dell'Incoronazione di Giovanni Zimisce, avvenuta intorno al 970. Il narratore è extradiegetico ed eterodiegetico ma si registrano oscillazioni tra punto di vista zero (narratore onnisciente), punto di vista interno multiplo (le opinioni dei protagonisti, spesso sullo stesso fatto e da due opposte prospettive, come si vede un po' dappertutto ma specialmente nei capitoli 13-23) e punto di vista esterno. Non si registrano particolari anisocronismi ma parleremmo piuttosto di salti ο "stacchi" temporali che servono anche a formare l'architettura del romanzo: il primo Capitolo è di per sé indipendente e tratta di un episodio cruciale che avviene nel 957 sul quale ci soffermeremo tra breve; i capitoli 2-10 comprendono gli avvenimenti che porteranno Niceforo Foca al trono e che non coprono un arco temporale troppo esteso (non più di una primavera a partire dal febbraio 962); i capitoli 11-26 trattano del "giallo" della sparizione della pergamena che contiene la formula del fuoco greco e delineano, almeno fino al capitolo 25 un lasso temporale (peraltro non meglio precisabile) non superiore ad una decina di giorni che si amplia però col capitolo 26 (importantissimo dal punto di vista metaletterario) che ci mostra in uno stile narrativo che definiamo con Genette "singolativo" (Figures III) la giornata-tipo di Leone Foca per tutto il periodo della sua prigionia trascorsa in compagnia dell'eunuco Lippas; il capitolo 27, con una drastica analessi (in cui si svela il mistero del furto della pergamena e si racconta come la guardia palatina Costantin Siriatos abbia portato a compimento il piano delineato dall'imperatrice Teofane) demarca la terza sezione, costituita dai capitoli 28-35 in cui si narra dell'ascesa al trono di Giovanni Zimisce dopo l'assassinio di Niceforo Foca partendo dagli scontri sul Danubio contro gli Sciti a cui entrambi partecipano (poco prima di quella che è chiamata la "stagione delle piogge" [Autunno]) per giungere all'incoronazione vera e propria che ha luogo poco dopo l'assassinio di Niceforo in una "fredda sera di febbraio" (dichiarazione che apre il capitolo 33 in perfetto richiamo dell'incipit del capitolo 2 : "Era una sera gelida di febbraio dell'anno 962"). Il Fuoco Greco di Luigi Malerba 335 Si tratta, come vedremo, di una architettura piuttosto simmetrica secondo uno schema 1 (episodio circoscritto) 9(i capitoli dedicati all'ascesa al trono di Niceforo che coprono l'inverno e la primavera del 962) 16(i capitoli del "giallo" che coprono una vicenda piuttosto breve) l(analessi su Siriatos del capitolo 27) 8(ascesa al trono di Giovanni Zimisce nei capitoli che coprono l'autunno e l'inverno del 970). Ora, se si considera che il capitolo 26 è ideologicamente e tematicamente riferibile alla terza ed ultima sezione - in quanto quasi completamente metaletterario (ed in chiara corrispondenza a quanto si dice in apertura dell'ultimo capitolo a proposito della pergamena di Lippas che conterrebbe la storia narrata poi dal narratore onniscente etero/extradiegetico) - si vede come si potrebbe ottenere uno schema assolutamente simmetrico rispetto al nucleo "giallo" dal punto di vista della categoria narratologica genettiana tempo (che esaminiamo nella sua componente durata visto che non vi sono gravi alterazioni dell'ordine e, se si considera la frequenza, prevale su tutto il singolativo con una eccezione che valuteremo): capitolo unico (episodio circoscritto) - 9 capitoli (2 stagioni) - 15 capitoli (al più dieci giorni) - capitolo unico (episodio circoscritto) - 9 capitoli (2 stagioni). L'architettura che si è venuti fin qui descrivendo viene peraltro incastonata - in una finissima ringkomposition - tra quanto si dice nel capitolo 1 e le ultimissime righe del romanzo (capitolo 35) dove si parla di nuovo dei "problemi di acustica" della sala tricliniare della corte bizantina. Il primo capitolo, in questa sorta di complessa partitura funge da overture e vi si rintracciano molte delle chiavi interpretative necessarie a decodificare l'opera, quella che Eco definirebbe l'enciclopedia necessaria ad una lettura a più livelli (Semiotica, pp. 106-34). Si è anticipato molto in merito al secondo capitolo, in cui ci vengono presentate le figure ugualmente inquietanti della imperatrice reggente Teofane e del suo consigliere, l'eunuco Giovanni Bringas. Il salto temporale dal primo capitolo è brusco: ci si sposta infatti dal 957 ad "una sera gelida di febbraio del 962" ed è importante che oltre alla disquisizione sul filosofo Aristotele in una cornice di "mediazione" (e in questo caso non culturale!) bizantino-araba ci sia spazio per un "malinteso" tra la reggente Teofane ed il Kuropalata4 Leone Foca, fratello dello stratega impegnato a combattere proprio nei territori da 4 Nel pregevole apparato critico del Dümmler si legge la facile etimologia di "Kuropalata": "factus mox cura palati" (p. 137); si tratta dunque di una specie di "prefetto del palazzo". Antonio Rossini 336 cui proviene l'Emiro. Nella sala del Triclinio "non ci si comprende" e questa volta non per motivi "fisici" (e cioè di acustica) ma per la mala fede che anima la corte. Leone Foca crede di ravvisare sul volto della Reggente insofferenza nei suoi confronti e si vendica mettendola in ridicolo (p. 21); la stizza che ne deriva in Teofane innesca virtualmente la narrazione di cui, come già detto, si tenterà anche una interpretazione "attanziale". La reggente del trono bizantino non conosce la filosofia di Aristotele pur comprendendo il greco e si adira, mentre l'Emiro tace astutamente ben conscio di ciò che sta accadendo, fingendo di non avere alcuna padronanza del greco (p. 22). È proprio all'importanza di una certa preparazione culturale che una sovrana bizantina dovrebbe possedere che l'eunuco Giovanni Bringas farà appello nel terzo capitolo tentando di placare l'ira di Teofane e fornendo una sorta di "canone" del sapere classico (anche scientifico) utile in questo senso. Nel terzo capitolo il romanzo "si mette in moto" e l'eunuco Bringas menziona per la prima volta il fuoco greco, arma segreta dalla potenza distruttiva (p. 24), per sottolineare di quanto potere disponga adesso lo stratega Niceforo Foca, fratello di Leone. L'astuto consigliere ribadisce poi che la summa del sapere è costituita dalla filosofia classica, dalla Bibbia, dai Padri, dalla teologia, dalla matematica, dalla finanza e dall'arte militare, il che costituisce anche una sottolineatura del ruolo di Bisanzio nella mediazione culturale e nella trasmissione dei testi antichi specialmente greci (p. 25). È tempo quindi di delineare i caratteri essenziali del romanzo nella direzione delle funzioni narrative, ο come direbbe Greimas, "attanziali" (Semantique structurale). L'imperatrice Teofane rappresenta il costante punto di riferimento dell'intreccio e praticamente incarna (se ci mettiamo in una prospettiva allegorica) la lussuria che sempre si accompagna al potere e che, una volta conquistatolo, può riuscire esiziale. In un certo senso Teofane è una "ape regina", una "mantide" che tende sempre a divorare chi le sta vicino e per questo tende quasi a sovrapporsi al "fuoco greco" visto che la conoscenza stessa della sua formula, a qualsiasi titolo si acquisisca, significa morte così come la condivisione del potere imperiale con lei. Il fuoco greco, feticcio del potere, si confonde con ciò di cui è allo stesso tempo causa ed effetto e cioè il godimento delle grazie di Teofane ed i piaceri della lussuria. È Teofane che, con la cooperazione di diversi "aiutanti" (regolarmente tolti di mezzo dopo essere stati usati) elimina uno dopo l'altro tutti coloro che condividono il potere con lei. Questo vale però anche per gli amanti (che con lei condividono Il Fuoco Greco di Luigi Malerba 337 la lussuria ma non di certo il potere) e per gli alti funzionari che saranno protagonisti del "nucleo giallo" del romanzo nei capitoli 11-27 (che con lei condividono una gran fetta di potere ma non la lussuria: Nimio Niceta comandante della Guardia Palatina; Leone Foca, fratello dell'imperatore e Kuropalata; Giorgio Mesarite, Eparco, il magistrato più importante dell'impero). Analizziamo quindi le tre "catene" di avvenimenti cominciando da Teofane "ape regina" per poi passare a Teofane "mantide" ed infine a Teofane orchestratrice del "giallo" che sarà fatale ai tre alti funzionari che abbiamo appena nominato. Teofane "ape regina" agisce dal capitolo 3 al capitolo 10 e dal capitolo 28 al capitolo 35, in cui esce di scena perché eliminata dall'intervento del Patriarca Polieuto su Giovanni Zimisce. Teofane è imperatrice con Romano II Lecapeno. Lo avvelena, così come le dicerie sostengono (p. 26) ed è costretta a questo punto a condividere il potere con l'eunuco Giovanni Bringas. Accordandosi in segreto con Nimio Niceta (p. 47) decreta la fine di Bringas che sarà carbonizzato da un proiettile di fuoco greco scagliato dal ponte della nave sulla quale è portato in trionfo Niceforo Foca (p. 52). Niceforo condurrà una vita ascetica impostagli dal Patriarca Polieuto per riparare la colpa del matrimonio "clandestino" con Teofane (il matrimonio viene infatti celebrato dal confessore di Niceforo per timore di eventuali obiezioni del Patriarca sulla vedovanza dei due sposi). La narrazione a questo punto si interrompe - con Niceforo che è costretto addirittura a scegliere il proprio sepolcro e a compiere svariati gesti di umiltà (siamo alla fine del capitolo 10) - per dare inizio al giallo. La narrazione riprende al capitolo 28 con la seduzione di Giovanni Zimisce ad opera di Teofane (pp. 204, 209) e la successiva eliminazione di Niceforo in una notte di febbraio, esattamente otto anni dopo il banchetto che si tiene nel secondo capitolo (p. 241). Teofane è pronta a questo punto a condividere il potere ed il letto con Zimisce ma è fatta ripudiare e deportare in un monastero proprio da quel Patriarca Polieuto che aveva costretto Niceforo alla castità agevolando involontariamente i suoi disegni e le sue dissolutezze. Zimisce sposa la figlia di Costantino VII Porfirogenito, Teodora, e pronuncia nella sala del Triclinio un discorso che non verrà compreso perché i "problemi di acustica" si ripresentano (il che allegoricamente riinstaura alla fine dell'opera quel clima "babelico" su cui ci siamo già dilungati). Come è evidente, il grande assente del romanzo è il "labirinto", ο meglio l'idea di un mondo labirintico, che è invece rimpiazzata in modo netto e deciso da una realtà governata dall'aut aut. Una logica "booleana" ferrea basata su una binarietà ripetitiva (che tornerà nel "principio di duplicazione" di

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Costantino VII Porfirogenito ed ivi ritornò in missione diplomatica nel 968 abitua ad un uso sottile dell'"apocryphal history" tralasciando invece i.
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