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Le poesie PDF

439 Pages·1989·7.474 MB·Italian
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Passano i secoli, tramontano e risorgono le mode let­ terarie, e Catullo resta un miracolo che ogni genera­ zione riscopre. Questo giovane svagato - che scende a Roma dalla sua provincia, frequenta la vita mondana della capitale, si innamora, ha degli amici, passa il tem­ po senza far nulla, si rifiuta di prendere partito nella vita politica del suo tempo - offre, a ogni tipo di let­ tore, quanto egli desidera. Chi ama la poesia colta e ri­ flessa, ammirerà, tra i versi di Catullo, le squisite com­ posizioni e traduzioni alessandrine. Chi chiede alla poe­ sia di riflettere gli impulsi del cuore, vi scoprirà Peros giunto al massimo straziante delPardore e della natura­ lezza. Chi ama il « moderno », preferirà le poesie fatte di nulla, tratte dalla minima esistenza quotidiana, che deridono un imbecille o un famoso uomo politico, che raccontano il furto di un fazzoletto o un aneddoto sconcio, che parlano di letteratura e di amici. Qui il quotidiano resta qual è: volgare, ridicolo, caotico: nessuna patina letteraria lo sublima; eppure una ele­ ganza inimitabile trasforma ogni minimo evento in un gioiello, che rimane impresso per sempre nella nostra memoria. Francesco Della Corte raccoglie nel suo denso com­ mento il succo degli studi catulliani antichi e moderni. La bellissima traduzione è Punica italiana che renda giustizia alla ricchezza e alla leggerezza di toni del più difficile lirico di ogni tempo. Francesco Della Corte, scomparso nel 1991, membro dell’Accademia dei Lincei, ha insegnato letteratura latina all’Università di Genova ed è stato direttore deSTEnciclo- pedia Virgiliana, Di lui si segnalano numerosi saggi: Da Sarsina a Roma. Ricerche plautine\ Svetonio eques Roma- nus\ Catone Censor e; Varrone il terzo gran lume romano\ La mappa dell’Eneide\ La filologia latina\ Personaggi catullia­ ni. Ha pubblicato dieci volumi di Opuscula. Per la Fonda­ zione Valla ha curato Tibullo. Le elegie. In sopracoperta: Eros suona la cetra e cavalca un leone cammeo firmato Protarchos Firenze, Museo Archeologico Fotografia di G. Bozano (Probabilmente l’incisore proveniva dall’Asia Minore e lavorava a Roma nell’età di Sulla o di Pompeo) CATULLO LE POESIE a cura di Francesco Della Corte FONDAZIONE LORENZO VALLA ARNOLDO MONDADORI EDITORE ISBN 88-04-12713-9 Grafica di Vittorio Merico © Fondazione Lorenzo Valla 1977 I edizione aprile 1977 XI edizione settembre 2006 www.librimondadori.it INTRODUZIONE Gaio Valerio Catullo nacque a Verona in un anno che sta fra l’87 e P82.; con ogni probabilità l’84. Trascorse la sua fanciullez­ za fra la valle dell’Adige e il Garda. I suoi più lontani ricordi so­ no paesaggi montani (68 A, $7-8: «... un limpido rivo che sgorga sulla cima di un monte elevato da roccia verde di muschio»; 64, 139-40: «... le nubi, cacciate dallo spirare dei venti, fuggono dal­ la cima elevata di un monte coperto di neve»), lacustri (31, 1 sgg.: «Sirmione, perla delle penisole e delle isole...»), e palustri (17, 16: «nel pantano vischioso la mula lascia il ferro dello zocco­ lo») o boschivi (17, 18-9: «nel fossato un ontano reciso dalla scu­ re di un ligure, alla base»). I suoi, gente benestante e legata da amicizia con Cesare, che durante la campagna in Gallia veniva a svernare ospite nella loro casa, avviarono il figlio agli studi. Come maestri potremmo arri­ schiare i nomi dei più noti grammatici della Gallia Togata: Otta­ vio Teucro, Pescennio lacco e Oppio Carete. Quando raggiunse i 17 anni e indossò la toga virile, lo troviamo a Roma, probabil­ mente a studiare retorica, come era d’obbligo, ma di fatto già in possesso del mezzo poetico tanto da colpire, con un epigramma di buona fattura, il vecchio ricattatore Cominio (108, 1) e dia soli­ darizzare col tribuno della plebe Cornelio, inviso allo establish­ ment dell’aristocrazia romana. La sua era una vita bohémienne, che alternava lo studio con gli svaghi; spesso faceva orge con amici; se la spassava con le ra­ gazze prezzolate, fra battute salaci e scherzi di dubbio gusto; frequentava, com’era costume, le terme. Sulla via dello studio lo avevano invece portato Quinto Ortensio Ortalo e Cornelio Ne­ pote. Il primo, oratore di grido e principe del foro fino a che non fu surclassato da Cicerone, incoraggiava il giovane a scrivere X FRANCESCO DELLA CORTE versi. Per mostrare che le sue parole non gli erano cadute di mente (65, 15 sgg.), Catullo gli inviava la traduzione della Chio­ ma di Berenice di Callimaco. L’altro, che proprio allora aveva terminato di scrivere una storia universale in tre volumi, andava ripetendo che c’era del buono nelle nugae di Catullo (i, 3 sgg.). Meno stretti dovevano essere i rapporti con Cicerone, a giudica­ re dal tono ironico del bigliettino con cui il «peggiore di tutti i poeti» ringrazia il «migliore avvocato di tutti» (49, 1 sgg.). Ma c’era un’altra generazione che stava affacciandosi sulla sce­ na letteraria, una generazione di poetae noviK quasi tutti cisalpini. Catullo si legò subito in amicizia con loro. E incerto se conobbe personalmente il loro maestro Publio Valerio Catone (56,1 sgg.); fu sicuramente molto intimo di Lucio Licinio Calvo, un «coserei - lino tutto pepe» (53, 5), che teneva testa ai più rinomati oratori: con lui intratteneva gare di poesia (50, 1 sgg.) e, quando gli ven­ ne a morire la moglie Quintilia, scrisse per lei un accorato epice­ dio (96, 1); di Gaio Elvio Cinna, che era stato in Bitinia, poeta di grande erudizione e di raffinata perfezione, se la sua Zmyma «dopo nove estati e nove inverni, dacché ebbe inizio, finalmente ha visto la luce» (95, 1 sgg.); di Cecilio, poeta di Como, autore della Magna Mater (35, 18); e di altri che fanno capolino per tutto il canzoniere, come Cornificio (38, 1), Gellio (116, 6), Pollione (il, 6), ecc. Con tanto amore trattava questi poeti d’avanguar­ dia, con altrettanto odio colpiva i cattivi poeti, che ancora si in­ testardivano a seguire le vie battute nel passato: i Cesi, gli Aqui- ni e Suffeno, «flagelli della mia generazione, infimi fra tutti i poeti» (14, 13); Suffeno, in particolare, «più zotico dello zotico contado, non appena si dedica ai poemi; e mai che sia così felice come quando si mette a fare versi; tanto gode da solo e tanto si compiace» (ll, 14 sgg.); Volusio, i cui Annales erano «pieni di cafoneria e di balordaggine», «fogli di carta immerdata» (36, 19- lo); Mamurra, che si sforzava «di dar la scalata alla cima del monte Pipleo; le Muse con le forche lo fanno cadere a precipi­ zio» (105, i-l). Tale era la sua vita, spensierata a un tempo e di studio, quan­ do all’improvviso gli giunse la notizia che gli era morto il fratello durante un viaggio in Oriente. Non si conoscono i particolari, né che cosa facesse il fratello nella Troade, per quali motivi vi si fos­ se recato, se al seguito di qualche governatore, o se portato dai propri interessi e per ragioni di affari. Sta di fatto che la morte del fratello venne bruscamente a interrompere il soggiorno roma-

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