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La teoria schmittiana della democrazia. Il pensiero politico e la teoria costituzionale di Carl Schmitt nel contesto dell'interpretazione delle costituzioni moderne dall'età della Rivoluzione francese alla Repubblica di Weimar PDF

477 Pages·2008·1.898 MB·Italian
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1 CLAUDIA BOCCHINI LA TEORIA SCHMITTIANA DELLA DEMOCRAZIA Il pensiero politico e la teoria costituzionale di Carl Schmitt nel contesto dell’interpretazione delle costituzioni moderne dall’età della Rivoluzione francese alla Repubblica di Weimar 2 INDICE Introduzione p. 5 CAPITOLO I LA NASCITA DELLE COSTITUZIONI DEMOCRATICHE 9 1. Democrazia e Rivoluzione 9 1.1. Geometrie costituzionali 10 1.2. L’idea di res publica e il concetto antico di democrazia 17 1.3. Costituzione e governo rappresentativo 27 2. Rousseau, Sieyes e la Rivoluzione francese 30 2.1. La democrazia in Rousseau 32 2.2. Sieyes teorico della Rivoluzione e della costituzione 51 3. I controrivoluzionari e la critica della democrazia 72 4. La Rivoluzione, Tocqueville e le due democrazie 79 4.1. L’America e la Francia a confronto 80 4.2. Dall’Ancien Régime alla democrazia 89 CAPITOLO II CARL SCHMITT: UN GIURISTA NEL SECOLO DELLA DEMOCRAZIA DI MASSA 93 1. Il contesto storico, politico e costituzionale della Germania tra Ottocento e Novecento 93 1.1. Il positivismo giuridico tedesco e la sua crisi 94 1.2. Le costituzioni tedesche da Francoforte a Weimar 112 2. Carl Schmitt: modernità e secolarizzazione 129 2.1. Romanticismo impolitico ed individualismo borghese 129 2.2. Teologia politica: il concetto di sovranità tra eccezione e Decisione 138 2.3. Cattolicesimo romano e forma politica: la rappresentazione dall’alto 167 3 CAPITOLO III PARLAMENTARISMO E DEMOCRAZIA 197 1. Il problema del parlamentarismo tra democrazia di massa, nuove élites e leadership carismatica 197 1.1. Teoria delle élites e ideologia democratica 181 1.2. Potere burocratico, direzione politica, selezione dei capi: Max Weber 187 1.3. La teoria liberal-democratica in Hans Kelsen 204 2. Il concetto di dittatura e la teoria illiberale della democrazia in Carl Schmitt 215 2.1. Dittatura e stato d’assedio 217 2.2. La dittatura del 1921 221 2.3. Il Presidente del Reich 233 3. La critica del parlamentarismo da Marx e Sorel a Schmitt 241 3.1. Democrazia e rappresentanza: Reichstag e Reichstagsauflösungen 241 3.2. L’inattualità nel XX secolo dei principi del parlamentarismo à la Guizot 245 3.3. Disincantamento e nuovi miti 253 3.4. Il mito nazionalistico e il fascismo italiano 255 CAPITOLO IV IL «LABILE EQUILIBRIO» DI WEIMAR 261 1. Gli strumenti della democrazia diretta: Referendum e proposta di legge di iniziativa popolare 262 2. La democrazia costituzionale moderna: un sistema binario 276 2.1. Il concetto di costituzione 281 2.2. La nascita della costituzione e il significato della Rivoluzione francese per il costituzionalismo moderno 290 2.3. La genesi politica della costituzione: il potere costituente tra normatività e fattività 297 2.4. L’elemento giuridico della costituzione moderna: lo Stato borghese di diritto 324 2.5. Rappresentanza e identità 343 2.6. L’elemento politico della costituzione moderna: la dottrina della democrazia (omogeneità, uguaglianza, popolo) 345 3. Il ‘politico’ prima e oltre (vor und über) lo Stato, il potere costituente prima e oltre la costituzione 364 4 CAPITOLO V LA CRISI FINALE DI WEIMAR 369 1. L’abbandono del parlamentarismo: il Präsidialsystem e il Preußenschlag 369 2. La giustizia costituzionale e il Presidente-custode 398 3. Legittimità sostanziale contro legalità formale 418 Opere di Carl Schmitt consultate 433 Abbreviazioni 439 Bibliografia della letteratura secondaria 441 Esposizione riassuntiva 447 Summary 479 5 Introduzione Carl Schmitt, la democrazia e la storia costituzionale La riflessione filosofico-politica e la ricerca scientifica su Carl Schmitt si sono concentrate per decenni prevalentemente sul concetto di ‘politico’ come distinzione amico-nemico e sulla dimensione teologico-politica dell’opera del giurista come chiave di lettura della Modernità. Da un lato, la teoria politica di Schmitt viene solitamente ascritta alle concezioni conflittualistiche della politica, dall’altro la sua formazione cattolica e la sua critica del liberalismo e del parlamentarismo sono interpretate come un attacco frontale alla Modernità e Schmitt è ricondotto alla composita cultura anti-Lumières dell’Europa nell’età della svolta dal XIX al XX secolo1. Uno studio che prenda in esame soprattutto la produzione giuspubblicistica di Schmitt degli anni della Repubblica di Weimar – dai primi saggi degli anni Venti sulla disciplina dello scioglimento del Reichstag a quelli sulla legislazione popolare e sui poteri del Presidente del Reich, da Dottrina della costituzione a Il custode della costituzione, dai saggi raccolti da Schmitt stesso nel 1958 in Verfassungsrechtliche Aufsätze a quelli pubblicati nel 1995 in Staat, Grossraum, Nomos a cura di Günter Maschke – e tematizzi la teoria schmittiana della democrazia alla luce della 1 Cfr. Z. Sternhell, Les anti-Lumières. Du XVIIIe siècle à la guerre froide, Paris, Fayard, 2006. Sternhell legge il criterio schmittiano del ‘politico’ alla luce della crisi dei valori tradizionali portata alla luce da Nietzsche e da Weber. Questi ultimi erano giunti alla conclusione che non esistesse alcuna possibilità di operare una scelta razionale tra valori contrastanti; analogamente l’irrazionalismo del pensiero schmittiano si manifesterebbe proprio nel criterio del ‘politico’: la sola scelta possibile è quella tra amico e nemico. Il giurista viene del resto accostato a Spengler, Jünger, Moeller van den Bruck e ad altri membri della c.d. Konservative Revolution: «ce sont ces ennemis des Lumières françaises, du rationalisme et des valeurs universelles, de l’égalité et de l’autonomie kantienne de l’individu qui ont conduit les classes supérieures allemandes aux portes du IIIe Reich» (Ivi, p. 456). 6 sua teoria costituzionale, si configura, dunque, come un Forschungsdesiderat, almeno nel panorama italiano. Il presente lavoro è strutturato sulla base di un’interazione - che ci si augura feconda e non priva dei requisiti scientifici dell’acribia e dell’analiticità - tra ricostruzione storico-costituzionale, analisi teorico- costituzionale e riflessione filosofico-politica, e vuole essere un rispecchiamento concreto dell’approccio metodologico di Schmitt, il quale, facendo propria la lezione della sociologia del diritto weberiana, oltrepassa gli angusti confini che il positivismo giuridico ha tracciato attorno agli oggetti ‘costituzione’ e ‘diritto’. Il legame che unisce la teoria schmittiana della democrazia e della costituzione democratica moderna alla storia costituzionale (Verfassungsgeschichte) è vasto e complesso. Esso esige e giustifica l’adozione di un metodo di indagine che coniughi vari approcci scientifici ai temi della democrazia e della costituzione. Innanzitutto Schmitt fa un duplice uso della storia costituzionale nella sua opera giuspubblicistica. Da un lato, si serve polemicamente della storia costituzionale in funzione antipositivistica ed antinormativistica: lo scopo del giurista antiformalista e decisionista è di dimostrare la storicità ed il forte collegamento pragmatico con un determinato assetto di potere delle posizioni assunte dal positivismo giuridico del XIX secolo, ancora dominante nell’età di Weimar. Sin dagli anni della formazione giovanile Schmitt si dichiara apertamente antiformalista e quindi critico del metodo esegetico che vede nelle norme poste dal legislatore le pietre indiscutibili di paragone di un ordine giuridico chiuso. Un simile rifiuto del metodo giuridico ed un approccio storico ai problemi giuridici si mostrano negli anni della guerra con le riflessioni contenute in Diktatur und Belagerungszustand e si consolidano in La dittatura e in Teologia politica. Schmitt utilizza in modo originale il metodo storico-critico – che era stato, non a caso, messo all’indice dal formalismo giuridico dominante – per analizzare in prospettiva diacronica le istituzioni vigenti, relativizzandole e mostrandone la loro condizionatezza storica. In questo senso Schmitt è partecipe, sebbene in modo peculiare, dello storicismo tedesco. Oltre alle opere già ricordate anche Romanticismo politico affronta il tema del romanticismo tedesco collocandolo nel quadro della secolarizzazione dell’età moderna. Rintracciare l’origine e ricostruire lo spessore storico dei concetti politici e giuridici e delle istituzioni politiche consente a Schmitt di criticare il concetto ottocentesco di Stato di diritto (Rechtsstaat) e di porre in risalto la crisi dell’autoconsapevolezza metafisica di un’epoca intera, individuando la storicità dei suoi valori, la loro origine dal processo di secolarizzazione e il loro esito fino allo svuotamento di senso. Per Schmitt il giurista non può limitarsi alla sistematizzazione organica delle norme di 7 diritto positivo in istituti giuridici, tralasciando ogni contatto con l’attualità. Schmitt rifiuta la astoricità del diritto ed inserisce le norme positive in una dimensione diacronica, in cui le stesse acquistano il loro significato e si trasformano sulla base dei rapporti di forza. È grazie a questo metodo di storia costituzionale comparata che si fa evidente lo iato tra la forma della costituzione, di ogni costituzione storica, e la realtà della costituzione con la sua pluralità di significati. Dall’altro lato, mediante la storia costituzionale Schmitt riesce a risalire direttamente all’origine della costituzione democratica moderna, all’origine rivoluzionaria della democrazia statu nascenti che si impone alle coscienze degli europei a partire dal 1789. L’approccio schmittiano allo studio della storia costituzionale, infatti, non è germano-centrico, sebbene l’interesse del giurista sia orientato prevalentemente, e comprensibilmente, all’esperienza costituzionale tedesca e alla Costituzione della Repubblica di Weimar2. La mossa generatrice della presente ricerca sulla teoria schmittiana della democrazia è rappresentata dall’idea del forte legame che unisce le esperienze costituzionali francese e tedesca, legame di cui Schmitt si mostra perfettamente consapevole sin dal libro del 1921 La dittatura, e che si manifesta, in tutta la sua forza euristica, soprattutto in Dottrina della costituzione, dove la Costituzione della Repubblica di Weimar, la prima costituzione liberal-democratica della Germania dopo la fine del II Reich e la scelta in favore di un Volksstaat, è inquadrata nel secolo e mezzo di storia della democrazia moderna che va dalla nascita delle prime costituzioni repubblicane – quelle francesi degli anni III, V e VIII della Repubblica – agli anni Venti del XX secolo, passando per la costruzione, teorica e pratica, dello Stato di diritto e dell’unità politica della Germania. Di conseguenza si fanno costanti richiami alle esperienze delle costituzioni rivoluzionarie, della Restaurazione, della Monarchia di Luglio, del bonapartismo e della III Repubblica francese e si insiste sulla rilevanza, nel pensiero di Schmitt, di due autori della storia del pensiero politico – Rousseau e Sieyes – che, a torto, sono stati penalizzati rispetto a Hobbes nelle riflessioni sull’opera schmittiana. 2 Le analisi sull’evoluzione legislativa svolte nel saggio Sguardo comparativo sulla più recente evoluzione del problema dei pieni poteri legislativi. “Delegazioni legislative” (1936) e la conferenza dei primi anni Quaranta La condizione della scienza giuridica europea forniscono esempi di questo approccio comparato (il saggio Sguardo comparativo è raccolto in PB, pp. 244-260; trad. it. in PC, pp. 353-377). 8 CAPITOLO I LA NASCITA DELLE COSTITUZIONI DEMOCRATICHE «La Rivoluzione francese è (…) l’avvenimento che giustamente si presenta come il punto che orienta la storia moderna»3. da Carl Schmitt, Romanticismo politico «Con la Rivoluzione francese del 1789 nacque la costituzione moderna, mista di elementi liberali e democratici. Il suo presupposto concettuale è la teoria del potere costituente. La dottrina dello Stato della Rivoluzione francese diventa perciò una fonte principale, non solo per la dogmatica politica di tutto quanto il periodo successivo (…), ma anche per la costruzione giuridica del diritto positivo della moderna dottrina della costituzione»4. da Carl Schmitt, Dottrina della costituzione 1. Democrazia e Rivoluzione L’idea di un legame essenziale tra la Rivoluzione francese e l’avvento della democrazia costituzionale moderna costituisce uno dei temi più ricorrenti del pensiero, non solo francese, del XIX secolo. La Rivoluzione francese viene considerata come una delle tappe fondamentali nella formazione della democrazia costituzionale moderna, che non è solo un regime politico (fondato sulla combinazione del principio della sovranità popolare – implicante il riconoscimento del suffragio universale – e del sistema rappresentativo), ma anche un regime sociale, caratterizzato dall’assenza di ineguaglianze di status di tipo aristocratico e dal ruolo centrale che vi 3 RP, p. 41. 4 VL, p. 49; trad. it. p. 75. 9 svolgono le aspirazioni ugualitarie5. È con la Rivoluzione francese che lo Stato moderno assume la sua forma definitiva come unità di territorio, di popolo e di potere statale, con sovranità verso l’interno e verso l’esterno6 ed è sempre con la Rivoluzione francese che inizia la transizione dalla forma di Stato della monarchia assoluta alla forma di Stato democratica7. 1.1. Geometrie costituzionali Il 5 maggio del 1789, all’apertura degli Stati generali a Versailles, la monarchia assoluta di Luigi XVI appare già virtualmente sconfitta per l’incapacità, mostrata fino a quel momento, di affrontare, fra le altre crisi in atto nel Paese, la propria crisi finanziaria. All’origine della Rivoluzione francese, come già della Gloriosa Rivoluzione inglese del 1689 e della Rivoluzione americana del 1776, si può individuare come casus belli, o, se è consentita la parafrasi, come casus revolutionis, in primo luogo una questione finanziaria, che ne presuppone una economico-sociale e ne produce una politico-costituzionale. Indicati da Alexis de Tocqueville nell’Antico regime e la rivoluzione a metà del XIX secolo come i due processi di lungo periodo che costituiscono l’inavvertita continuità tra la monarchia assoluta e la democrazia, livellamento delle condizioni sociali e centralizzazione amministrativa rappresentano anche secondo Wolfgang Reinhard, autore di una recente Storia del potere politico in Europa, i due fenomeni fondamentali che producono la modernizzazione sociale e politica 5 Cfr. sul tema della rivoluzione i seguenti studi storici o filosofico-politici: F. Furet, Penser la revolution française, Paris, Gallimard, 1978, trad. it. Critica della rivoluzione francese, Roma-Bari, Laterza, 19985; H. Arendt, Sulla rivoluzione, Milano, Edizioni di Comunità, 1983; F. Furet – M. Ozouf (a cura di), Dizionario critico della rivoluzione francese, Milano, Bompiani, 1988; Idd. (a cura di), The French Revolution and the Creation of Modern Political Culture. III. The Transformation of Political Culture. 1789-1848, Oxford, Pergamon Press, 1989; B. Bongiovanni – L. Guerci (a cura di), L’albero della rivoluzione. Le interpretazioni della rivoluzione francese, Torino, Einaudi, 1989; E.J. Hobsbawm, Echi della marsigliese. Due secoli giudicano la rivoluzione francese, Milano, Rizzoli, 1991; B. Bailyn, The Ideological Origins of the American Revolution, Cambridge (Mass.) – London, Harvard University Press, 19922; A. Forrest, La Rivoluzione francese, Bologna, Il Mulino, 1999; M. Ricciardi, Rivoluzione, Bologna, Il Mulino, 2001. 6 W. Reinhard, Storia del potere politico in Europa, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 491. 7 E. Rotelli, Forme di governo delle democrazie nascenti. 1689-1789, Bologna, Il Mulino, 2005. 10 dell’Europa e che, per certi aspetti, raggiungono il proprio compimento solo nel XX secolo, con il riconoscimento della parità dei diritti delle donne8. Nei secoli che vanno dalla civiltà comunale al XVIII secolo, i secoli della formazione degli Stati moderni, l’uomo – più propriamente ancora e sempre l’adulto di sesso maschile, il pater familias – passa gradualmente da un rapporto mediato col potere statale, in quanto membro di una casa, di una corporazione, di un comune o di un ceto, ad un contatto immediato col potere, in quanto individuo. Il significato di cittadinanza come legame tra l’individuo e lo Stato – significato che, anticipato dal teorico della sovranità assoluta del monarca (Bodin) con la sua concezione della cittadinanza- sudditanza e sottoposto dal teorico della sovranità popolare (Rousseau) ad una radicale torsione repubblicana e contrattualista, si afferma storicamente nell’età della Rivoluzione in seguito alla definitiva abolizione della società per ceti tipica del sistema feudale - è dunque l’esito di un lungo e complesso processo di definizione tanto del soggetto quanto dell’ordine politico che coinvolge la teoria politica e la storia delle istituzioni ed è all’origine della democrazia moderna. Nella sua Storia della cittadinanza in Europa Pietro Costa sostiene che i fenomeni che più di ogni altro hanno segnato il destino del discorso della cittadinanza nella società e nella cultura d’Ancien Régime - tracciando delle forti e significative discontinuità rispetto alla concezione medievale della cittadinanza col suo corporatismo, i suoi plurimi iura et libertates, i suoi innumerevoli privilegia o immunitates, i suoi ordini e le sue gerarchie, le metafore organiciste e le numerose universitates che disegnavano una trama di ‘inclusioni differenziate’ dove non esisteva l’individuo in quanto tale, dove non esisteva cioè l’uguale soggetto-di- diritti, ma una molteplicità di situazioni soggettive diseguali che vedevano gli uomini inseriti in una lunga serie di dipendenze – sono due: dal punto di vista della storia politica e sociale, lo spostamento della centralità politica (soprattutto in alcune zone d’Europa) dallo ‘spazio della città’ allo ‘spazio dello Stato’ (il territorio su cui si esercita la sovranità delle grandi monarchie); dal punto di vista della teoria politica e giuridica, invece, l’affermazione del giusnaturalismo moderno, sei-settecentesco, come paradigma all’interno del quale l’individuo acquista una sua autonoma ed inedita visibilità e si propone come titolare di bisogni, facoltà, poteri, diritti attraverso i quali deve passare la fondazione stessa dell’ordine politico legittimo. Il soggetto-di-diritti, risaltando, come in un bassorilievo, rispetto alle molteplici situazioni giuridiche precedentemente ascritte agli uomini, si 8 W. Reinhard, Storia del potere politico in Europa, cit., p. 492.

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