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la mente al di là della rete PDF

155 Pages·2009·1.08 MB·Italian
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“LA MENTE AL DI LÀ DELLA RETE” Protocolli di mental training applicati al tennis di vertice Autori: A. Cannavacciuolo, B. Corolli, A. Rubino Corso Nazionale di Specializzazione per tecnici FIT (equivalente al IV Livello Europeo) Scuola dello Sport CONI Roma, 26/27 Novembre 2007 Supervisore: Prof. M. Di Paolo Ringraziamenti Il gruppo di lavoro composto in occasione di questo project work coglie l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile la creazione di questo testo, ed in particolare il Professor Massimo Di Paolo, nella veste di tutor assegnatoci dalla commissione dei docenti della Scuola Nazionale Maestri, e di supervisore nel corso dello svolgimento dell’intero nostro operato. Un ulteriore e sentito ringraziamento è doveroso porlo a tutti i giocatori ed allenatori che hanno supportato materialmente il project work attraverso le loro dichiarazioni raccolte nelle interviste, vera spina dorsale di tutto il nostro lavoro. A nome di tutti i componenti del gruppo, che ha redatto questo project work, un sentito ringraziamento a tutti. Indice Introduzione p. 1 Capitolo 1 - Cenni storici e introduzione all’allenamento mentale p. 3 Capitolo 2 - Studi e applicazioni del mental training al tennis 2.1 Le caratteristiche del tennis p. 13 2.2 Le abilità mentali nello sport del tennis p. 14 2.3 Il controllo delle emozioni p. 18 2.4 Il controllo dei pensieri p. 23 2.5 L’attribuzione di causalità p. 24 2.6 Il controllo dell’attenzione p. 26 2.7 Le abilità immaginative p. 31 Capitolo 3 - Tecniche di mental training 3.1 Rilassamento p. 34 3.2 Self talk p. 38 3.3 Goal setting p. 40 3.4 Pensiero positivo p. 42 3.5 Training autogeno p. 44 3.6 Concentrazione – Gestione dell’arousal p. 50 3.7 Visualizzazione e imagery p. 54 3.8 Biofeedback p. 59 3.9 Automatizzazione delle strategie p. 62 Capitolo 4 – Una ricerca sul mental training 4.1 Obiettivi della ricerca p. 64 4.2 Presentazione dello strumento p. 66 4.3 Caratteristiche degli intervistati p. 67 4.4 Elaborazione dei dati: tabelle e grafici p. 69 Conclusioni p. 98 Appendice Bibliografia Capitolo I Cenni storici e introduzione all’allenamento mentale Con un notevole anticipo rispetto ai suoi tempi, De Coubertin, ha sentito il bisogno di applicare la psicologia allo sport. Già nel 1900, infatti, aveva pubblicato un articolo intitolato: “La psicologia dello sport”. Tutte le metodiche inerenti alla suddetta disciplina vennero in seguito prese in considerazione da numerosi paesi soprattutto dopo la prima guerra mondiale, quando cioè l’espansione dell’attività sportiva ebbe la sua definitiva affermazione. Bisogna però citare alcuni autori che per primi hanno svolto un lavoro sistematico condotto presso l’istituto di educazione fisica di Leipzig, sia prima che dopo la prima Guerra mondiale: Scultz, Sippel, Giese, Klem, Krueger; in questo periodo si vede l’influenza della teoria Gestalt. In un secondo periodo, Leipzig ha sentito l’influenza di alcuni psicologi sovietici, interessati più ai problemi relativi alle competizioni di alto livello. Numerosi ricercatori testimoniano che l’importanza sia stata data su problemi immediati della competizione e della vittoria da conseguire, più che su quelli dell’individuo alle prese con sé stesso. Il proposito iniziale quindi è quello di determinare in modo preciso le caratteristiche della psicomotricità, della percezione, dell’emozione e dell’intelligenza richieste nelle varie attività sportive al fine di conseguire le migliori prestazioni. Il problema però nella maggior parte dei paesi rimaneva, in quanto gli allenatori continuavano a ritenere che la vittoria nello sport dipendesse dall’intensità dell’allenamento e dalle capacità 3 superiori dell’atleta piuttosto che da una attenta valutazione delle condizioni emotive dell’ambiente in cui si svolge la preparazione, o dai tratti della personalità dell’atleta stesso (Most, 1983). In Italia, l’approfondimento della conoscenza dei fattori psicologici e pedagogici che informano lo sport e la competizione in atto ad opera di numerosi specialisti, avviene nel 1965, a Roma dove si tiene il primo congresso internazionale di psicologia. L’International Society of Sport Psicology (ISSP), costituita in occasione del congresso, originò, a sua volta, nel mondo una sessantina di società nazionali, di cui una ventina in Italia. In alcuni Paesi la psicologia dello sport (PdS) veniva identificata con gli studi di psicomotricità e di motor skill atti a realizzare prestazioni atletiche migliori, mentre in altri si dava maggior spazio allo studio delle motivazioni, all’assistenza psicologica per un miglior equilibrio dell’uomo atleta (Tamorri, 2000). Se all’inizio della sua storia la psicologia dello sport si era data come obiettivo quello di studiare la personalità degli atleti, ricercando modelli cognitivi e comportamentali utili a differenziare le caratteristiche degli atleti dagli altri uomini e sviluppando un ampio spazio all’interno della psicodiagnostica, oggi l’ obiettivo della psicologia dello sport risulta molto cambiato. Ora il quesito più impellente posto dai tecnici e dagli atleti è: “come posso compiere prestazioni sempre più eccellenti?”. In tale contesto la psicologia dello sport si è trovata a passare da un livello teorico alla pratica, divenendo in tal modo operativa. Oggi, ogni atleta sa quanto sia vero che il primo reale nemico da battere è il fantasma della paura, dell’insicurezza, della bassa stima di sé, prima ancora dell’avversario. Lo scontro con l’avversario è episodico, un momento nella vita 4 dell’atleta; per tutto il resto del tempo ciò che conta è una lineare e continua crescita fisica e mentale, attraverso un lavoro che dura anni, per tutta la carriera agonistica dell’atleta. Dunque, essere operativi nell’ambito dello sport significa sviluppare un programma di allenamento per la mente, al pari di programmi di allenamento fisico; l’agonista non è un robot, non è un gigantesco meccanismo sostenuto dagli sponsor e da complesse manovre di tipo economico, bensì è un uomo che ha scelto di sfidare sé e gli altri, con i suoi punti deboli e le sue illimitate potenzialità. Lo psicologo dello sport deve tenere bene in mente che dedicherà il suo sostegno ed il suo contributo in primis all’uomo e in secondo luogo all’atleta che c’è in lui, il quale rappresenta solo una parte della sua complessità. La psicologia dello sport è una disciplina giovane, che ha la possibilità di apportare validi contributi sia nello sport di alto livello che nelle fasi di apprendimento di una attività. È possibile definire la psicologia dello sport come una psicologia dell’azione che si pone come obiettivo la comprensione a 360° dell’uomo e del suo essere atleta. Per questa ragione, il primo punto da fissare con l’atleta è la meta che questi desidera raggiungere. Per poter lavorare con un atleta è fondamentale fissare un obiettivo che abbia determinate caratteristiche: A) Definito in positivo, nel senso di considerarlo come qualcosa a cui tendere e non da cui allontanarsi, in un esempio si potrebbe dire “voglio smettere di essere ansioso ed agitato “, anziché “voglio imparare ad essere tranquillo e determinato” B) Verificabile. Imparare ad essere tranquillo e determinato, nell’esempio appena riportato, non risulterà verificabile fino a quando non si sarà riusciti a tradurre la tranquillità e la 5 determinazione in comportamenti ed atteggiamenti esaminabili, in altre parole risponderà alla domanda: “come saprò di aver raggiunto il mio obiettivo, come lo sapranno gli altri?” C) Specificato rispetto a: - chi (quali sono le persone coinvolte nel mio obiettivo?) - come (quali comportamenti produrranno il mio cambiamento?) - quando (quali tempi scandiranno il passaggio dal mio stato presente a quello desiderato?) - dove (quali saranno i luoghi entro i quali produrrò il mio cambiamento?) - perché (quali sono le motivazioni di cui dispongo per poter realizzare il mio cambiamento?) D) Ecologico (l’obiettivo scelto dall’atleta sarà accettato dalle persone per lui significative? Tale obiettivo gli procurerà dei vantaggi?) Una volta centrato l’obiettivo, è possibile procedere con l’atleta nella costruzione di quegli aspetti della sua personalità indispensabili per lo sviluppo della sua carriera. Naturalmente, per lavorare sull’obiettivo concordato occorre instaurare un buon rapporto con l’atleta. La psicologia non possiede altro strumento che quello di operare sul livello organizzativo della mente dell’atleta, agendo attraverso la comunicazione. È fondamentale incontrare l’atleta sul suo terreno, cogliendo gli elementi più significativi dell’esperienza da lui narrata, annotando tutto ciò che è possibile osservare, ascoltare, e 6 percepire durante il colloquio. La persona deve sentirsi rispettata in ciò che considera importante: le sue credenze, le sue convinzioni sul mondo e sulla vita. Il primo passo da fare, dunque è trovare il modo per sintonizzarsi con lui, utilizzando il più possibile il suo stesso linguaggio che rappresenta il modo attraverso cui l’atleta si raffigura il mondo e lo connota di significati. Solo in un momento successivo ci si adopererà a fornire una guida ragionata in direzione di nuovi orizzonti, incentivi e risorse utili all’atleta per raggiungere i propri risultati. La prima fase dell’incontro è tutta orientata a definire un terreno d’accordo e di intesa con il mondo interiore dell’atleta. Questo tipo di approccio non è solo retaggio dello psicologo dello sport, ma offre un’utile base per uno sviluppo costruttivo del colloquio, sia in ambito clinico che formativo. Se si pensa all’impegno che si chiede ad un’atleta, il miglioramento continuo e costante che deve riuscire a dare durante gli allenamenti, in un ambiente spesso poco gratificante, in cui solo alcuni sport sono altamente riconosciuti e premiati, ci si spiega quanto sia fondamentale il “perchè” che l’atleta si costruisce, che costituisce la motivazione principale a continuare la sua carriera agonistica. La motivazione è strettamente collegata alla direzione e alla intensità di un comportamento, è dunque fondamentale in un momento in cui l’atleta lavora sulla propria costruzione fisica e psicologica. La motivazione costituisce la chiave d’accesso ai risultati: essa lavora attraverso i bisogni dell’atleta, gli stimoli positivi, l’interesse e il divertimento, la ricerca di affiliazione verso i compagni e l’allenatore, il bisogno di affermazione e di riuscita. 7 La base, però, di tutto l’intervento psicologico è il linguaggio. Nel suo utilizzo quotidiano non ci rendiamo conto dell’uso che facciamo delle parole, del loro peso, del significato che con queste creiamo. Ad esempio il linguaggio usato dall’atleta nel suo dialogo interno è di fondamentale importanza, infatti i messaggi che questi manda a sé stesso sono basilari per la riuscita della sua prestazione. La mente ha una grande abilità che può risultare un forte limite, quella di orientarsi, spesso in modo inconsapevole, in funzione dei propri pensieri. È il “sistema attivante reticolare“, in particolare, che si interessa di mettere in collegamento la mente (i pensieri) con il corpo (le abilità percettive), orientando in tal modo l’attenzione del soggetto sulle cose per lui più significative. Ora, dinnanzi ad uno stesso stimolo è possibile reagire in modo positivo (ottimistico) o negativo (pessimistico), a seconda di come vengono interpretati i fatti, dal momento che il sistema percettivo è in grado di analizzare solo la quantità di uno stimolo e non la qualità, che viene decisa dal sistema cognitivo. È dunque essenziale che l’atleta utilizzi una sorta di “dieta mentale”, attraverso la quale nutrirsi di parole che gli diano la giusta carica, e gli permettano di essere ottimista, convinto e determinato in rapporto alle sue risorse. Il nostro vocabolario presenta una netta preponderanza di parole a connotazione negativa nella descrizione delle emozioni. La lingua inglese ad esempio contiene circa un migliaio di parole per esprimere emozioni positive, mentre sono ben duemila le parole che esprimono emozioni negative. Si pensi a quanti vocaboli vengono usati da psichiatri e psicologi per descrivere le varie forme di patologia mentale, e quanti pochi vocaboli vengono usati per 8

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Protocolli di mental training applicati al tennis di vertice. Autori: A. Cannavacciuolo, B. Corolli, A. Rubino Capitolo 2 - Studi e applicazioni del mental training al tennis. 2.1 Le caratteristiche del tennis p. 13 corsa affannosa, può agire per modificarli, formando un sistema elementare di bi
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