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Il Gatto Che Leggeva Alla Rovescia PDF

138 Pages·1966·0.64 MB·Italian
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LILIAN JACKSON BRAUN IL GATTO CHE LEGGEVA ALLA ROVESCIA (The Cat Who Could Read Backwards, 1966) 1 Jim Qwilleran, il cui nome metteva in difficoltà tipografi e correttori di bozze da due decenni, arrivò quindici minuti in anticipo all'appuntamento con il direttore del Daily Fluxion. In sala d'aspetto prese l'edizione del mattino e studiò la prima pagina. Lesse le previsioni del tempo (caldo primaverile), la tiratura (427.463) e il motto dell'editore snobisticamente stampato in latino (Fiat Flux). Lesse l'articolo di testa riguardante un processo per omicidio, e quello sulla corsa governatoriale, nel quale trovò due refusi. Notò che il museo d'arte non era riuscito a ottenere la sovvenzione di un milione di dollari, ma sorvolò sui particolari. Saltò l'articolo su un gatto rimasto intrappolato in una grondaia, ma lesse tutto il resto: "Poliziotto arresta malvivente in un conflitto a fuoco"; "Inchiesta su guerra tra spogliarelliste nel Loop"; "Parlar di tasse irrita i de- mocratici e intanto le azioni salgono". Qwilleran udiva i familiari rumori al di là della porta a vetri, macchine per scrivere che ticchettavano, telescriventi che pulsavano, telefoni che squillavano. A quei suoni i suoi grandi baffi sale e pepe si rizzarono e lui se li allisciò con le nocche. Era ansioso di dare un'occhiata all'ambiente rumoroso e frenetico della redazione finanziaria prima della chiusura del giornale. Raggiunse la porta e sbirciò attraverso il vetro. I rumori erano autentici, ma la scena, scoprì, era tutta sbagliata. Le veneziane erano diritte, le scrivanie in ordine e senza sfregi. Le minute appallottolate e i ritagli di giornale, che avrebbero dovuto essere sparpagliati sul pavimento, erano invece raccolti nei cestini metallici. Mentre contemplava sconcertato quella scena gli giunse alle orecchie un rumore sconosciuto: un rumore che non armonizzava con la musica di fondo di tutte le redazioni finanziarie che aveva visto in vita sua. Poi notò un fattorino che stava infilando una matita gialla in un minuscolo aggeggio miagolante. Qwilleran fissò l'oggetto. Un temperamatite elettrico! Mai avrebbe immaginato che si sarebbe arrivati a questo. E ciò gli ricordò da quanto tempo aveva perso i contatti con quel mondo. Un altro fattorino con scarpe da tennis sbucò dalla redazione e chiese: — Signor Qwilleran? Adesso può entrare. Lui lo seguì sino a un cubicolo nel quale un giovane direttore lo aspettava con una franca stretta di mano e un franco sorriso. — Dunque lei è Jim Qwilleran! Ho sentito parlare molto di lei. Jim si chiese quanto, e quanto male. Nel curriculum che aveva inviato al Daily Fluxion la sua carriera seguiva un tracciato incerto: articolista sportivo, cronista di nera, corrispondente di guerra, vincitore del Publisher Trophy, autore di un libro sul crimine urbano. Seguiva una serie di incarichi temporanei in giornali sempre più piccoli, quindi un lungo periodo di inattività, o comunque di lavori che non meritavano di essere citati. Il direttore disse: — Ricordo il servizio sul processo che le ha meritato il Publisher Trophy. All'epoca ero un cronista alle prime armi e l'ammiravo molto. Dall'età e dai modi controllati dell'uomo Qwilleran capì che faceva parte della nuova razza di editori, di quella razza addestrata alla precisione che si avvicinava al giornalismo come a una scienza piuttosto che come a una missione. Qwilleran aveva sempre lavorato per l'altro tipo: i crociati all'antica che si rosicchiavano le unghie. Il direttore stava dicendo: — Con i suoi precedenti forse la nostra offerta la deluderà. Tutto quello che abbiamo per lei è una scrivania alla cronaca. Ma ci farebbe piacere che accettasse, in attesa che salti fuori qualcosa nel settore finanziario. — E fino a che non avrò dimostrato di essere affidabile, vero? — chiese Qwilleran guardando l'altro negli occhi. Aveva vissuto un'esperienza umiliante. Ora il problema era di suonare la giusta corda di umiltà e fiducia in se stesso. — Questo è ovvio. Come se la passa al momento? — Per ora discretamente. La cosa importante è tornare a lavorare in un giornale. Sono riuscito a rendermi malvisto in diverse città prima di farmi furbo. Questo è il motivo per cui sono venuto qui. Una città estranea; un giornale vivace; una nuova sfida. Penso di potercela fare. — Ma certo! — esclamò l'altro protendendo la mascella. — E adesso parliamo di quello che abbiamo in serbo per lei. Ci serve un giornalista che si occupi di arte. — Di arte! — Qwilleran sobbalzò e mentalmente compose un titolo: "Giornalista veterano messo in panchina". — Sa qualcosa di arte? Qwilleran fu onesto. — Non so distinguere la Venere di Milo dalla Statua della Libertà. — Proprio quello che ci serve! Meno sa, più fresco e genuino è il suo punto di vista. L'arte, in questa città, sta vivendo un momento di esplosione e abbiamo bisogno di darle più spazio. Il nostro critico tiene una rubrica due volte la settimana, ma noi vogliamo un cronista esperto che vada a caccia di storie sugli artisti. C'è una gran quantità di materiale. Come lei ben sa, di questi tempi si contano più artisti che cani e gatti. Qwilleran si ravviò i baffi con le nocche. Il direttore continuò in tono ottimistico: — Lei farà capo al redattore di cronaca, però si cercherà da solo gli articoli da proporre. Vogliamo che si dia da fare sul campo, che incontri un bel po' di artisti, stringa un bel po' di mani, faccia amicizie utili al giornale. Qwilleran compose in cuor suo un altro titolo: "Giornalista finisce a stringer mani". Ma aveva bisogno di lavorare. La necessità sostenne una battaglia con la coscienza. — Be' — mormorò — non saprei... — Sarà un lavoro bello e pulito e, tanto per cambiare, conoscerà gente decente. Probabilmente ne ha avuto fin sopra i capelli di malavitosi e pregiudicati. I baffi vibranti di Qwilleran sembrava stessero cercando di dire Chi-diavolo- vuole-un-lavoro-bello-e-pulito, ma il loro proprietario mantenne un diplomatico silenzio. Il direttore consultò l'orologio e si alzò. — Perché non va di sopra a parlarne con Arch Riker? Lui può... — Arch Riker! Che ci fa qui? — Capo redattore alla cronaca. Lo conosce? — Lavoravamo insieme a Chicago... anni fa. — Magnifico! Lui le darà tutti i particolari. Spero che deciderà di venire a lavorare al Flux. — Il direttore tese la mano e gli elargì un sorriso misurato. Qwilleran uscì e gironzolò per la redazione: passò davanti alle file di camicie bianche con le maniche rimboccate, alle teste chine sulle macchine per scrivere, e all'inevitabile giornalista donna. Fu lei a lanciargli un'occhiata curiosa, e a quel punto Jim si eresse in tutto il suo metro e ottantacinque, tirò indietro i cinque chili di troppo che gli debordavano dalla cintura e si passò una mano sul capo per ravviarsi i capelli. Come per i baffi, la proporzione dei capelli bianchi e di quelli neri era di uno a tre. Al piano di sopra trovò Arch Riker che presidiava una stanza stipata di scrivanie, macchine per scrivere e telefoni, tutti di una sfumatura verde pisello. — Niente male, vero? — disse Arch quasi a scusarsi. — Lo chiamano Color Oliva Riposante. Tutti oggi devono essere coccolati. Personalmente a me sembra color bile. La cronaca era una versione ridotta della redazione finanziaria, senza però quella latente frenesia. La serenità aleggiava nel locale come una nebbia. Tutti sembravano di dieci anni più vecchi dei giornalisti della pagina finanziaria. E Arch stesso era più grasso e più calvo di una volta. — Jim, è magnifico rivederti! Fai ancora lo spelling del tuo nome con quella ridicola W? — È un rispettabile spelling scozzese — protestò Qwilleran. — E vedo che non ti sei liberato di quei tuoi baffoni. — Il mio unico souvenir della guerra. — Con le nocche li allisciò in un gesto affettuoso. — Come sta tua moglie, Jim? — Intendi la mia ex moglie? — Oh, non sapevo, scusami. — Sorvoliamo... Quale incarico intendi affidarmi? — Un lavoretto facile. Se vuoi cominciare oggi puoi preparare un pezzo per domenica. — Non ho ancora detto che accetto il posto. — Lo farai — disse Arch. — È proprio quello che ci vuole per te. — Considerando la mia recente reputazione, vuoi dire? — Hai intenzione di fare il permaloso? Lascia perdere. Smettila di tormentarti. Qwilleran si tastò pensosamente i baffi. — Suppongo che potrei fare un tentativo. Hai in mente qualcosa di specifico da farmi fare? — Quello che vuoi tu. — Ti hanno dato qualche indicazione? — Sì. — Arch Riker estrasse un foglietto rosa da uno scadenzario. — Quanto ti ha detto il capo? — Non mi ha detto niente, tranne il fatto che vuole scriva articoli di interesse umano sugli artisti. — Be', mi ha mandato un promemoria rosa per proporre un pezzo su un tale che si chiama Cal Halapay. — Cioè? — Qui al Flux abbiamo un codice stilato per colori. Un memo azzurro vuol dire Per tua informazione. Giallo significa Suggerimento blando, ma rosa vuol dire Scatta, ragazzo, scatta. — Che cosa c'è di tanto urgente riguardo a Cal Halapay? — Date le circostanze, sarebbe meglio che tu non conoscessi il retroscena. Limitati ad andar lì, fa' conoscenza con questo Halapay e scrivi qualcosa di leggibile. Conosci tutti i trucchi. — Dove lo trovo? — Penso tu possa telefonare al suo ufficio. È un artista commerciale e capo di un'agenzia di successo, ma nel tempo libero realizza quadri a olio. Dipinge bambini. Sono molto popolari. Bambinetti con capelli ricciuti e guance rosate. Sembrano in preda a un attacco apoplettico ma, a quanto pare, i compratori non mancano... Senti, ti va di mangiare qualcosa? Potremmo andare al circolo della stampa. I baffi di Qwilleran si rizzarono. Un tempo i circoli della stampa erano la sua vita, il suo amore, il suo hobby, la sua casa, la sua fonte di ispirazione. Questo era di fronte alla nuova sede di polizia, in una fuligginosa fortezza di pietra calcarea, con finestre munite di sbarre, che un tempo era stata la prigione della contea. I gradini di pietra incavati dal tempo conservavano la prova di disgelo anticipato, in febbraio. Nell'atrio l'antica boiserie splendeva rossa sotto innumerevoli strati di vernice. — Possiamo mangiare al bar — propose Arch — oppure andar su nella sala da pranzo. Lassù hanno messo le tovaglie. — Mangiamo qui — rispose Qwilleran. Il bar era buio e rumoroso. La conversazione si svolgeva a un tono elevato, inframmezzata da mormorii confidenziali. Qwilleran conosceva molto bene quell'atmosfera. Significava che circolavano voci, stavano per essere lanciate nuove campagne, e per essere risolti ufficiosamente dei casi davanti a una birra e un hamburger. Al banco trovarono due sgabelli liberi e furono avvicinati da un barista in giacca rossa che sfoggiava un sorriso cospiratorio e parlava di informazioni segrete. Qwilleran ricordava che alcune delle sue migliori imbeccate per gli articoli gli erano arrivate dai baristi dei circoli della stampa. — Scotch e acqua — ordinò Arch. — Per me un doppio succo di pomodoro on the rocks. — Pomodoro on the rocks — ripeté il barista. — Vuole una spruzzatina di limone e una goccia di Worcestershire? — No, grazie. — E così che lo preparo per il mio amico sindaco quando viene qui. — Il sorriso che sfoderò era pieno di sussiego. — No, grazie. — Che ne direbbe di una goccia di tabasco per dargli un po' di mordente? — No. Me lo serva liscio. La bocca del barista si piegò verso il basso e Arch si affrettò a soggiungere: — Ti presento Jim Qwilleran, un nuovo collega. Non si rende conto che tu sei un artista... Jim, ti presento Bruno. Lui dà ai drink qualcosa di molto personale. Dietro Qwilleran una voce che spaccava i timpani disse: — Io voglio meno personalità e più liquore. Ehi, Bruno, preparami un Martini e lascia perdere tutte le porcherie. Niente oliva, spruzzata di limone, acciughe o aborti di pomodori sottaceto. Qwilleran si girò e si trovò davanti un sigaro serrato tra denti scoperti di una grandezza sproporzionata rispetto allo smilzo giovanotto che lo fumava. La cordicella nera che gli pendeva dal taschino era chiaramente attaccata a un esposimetro. Era un fracassone. Era spavaldo. Si stava divertendo. A Qwilleran piacque. — Questo pagliaccio — spiegò Arch a Qwilleran — è Odd Bunsen, del laboratorio fotografico... Odd, questo è Jim Qwilleran, un mio vecchio amico. Ci auguriamo che entri a far parte dello staff del Flux. Il fotografo si affrettò a tendere la mano. — Jim, contento di conoscerti. Vuoi un sigaro? — Fumo la pipa, ma grazie lo stesso. Odd studiò con interesse i lussureggianti baffi dell'altro. — Quei cespugli ti stanno prendendo la mano. Non hai paura che prendano fuoco? Arch si rivolse a Qwilleran — La cordicella nera che pende dal taschino del signor Bunsen è ciò che usiamo per tenergli attaccata la testa al collo. Ma è un uomo utile, ha più informazioni di un archivio di consultazione. Forse potrà darti qualche notizia su Cal Halapay. — Certo — assentì il fotografo. — Che vuoi sapere? Ha una moglie che è uno schianto, ottantacinque-cinquantacinque-ottanta. — Ma chi è questo Halapay? — chiese Qwilleran. Odd Bunsen consultò per qualche attimo il fumo del sigaro. — Un artista commerciale. Dirige una grossa agenzia pubblicitaria e lui personalmente vale qualche milione. Vive nelle Lost Lake Hills. Magnifica casa, grande studio, due piscine. Due, hai capito? Dato che l'acqua è così scarsa, probabilmente ne riempie una di bourbon. — Figli? — Due o tre. Bella moglie. Halapay possiede un'isola nei Caraibi, un ranch nell'Oregon e un paio di aerei privati. Tutto ciò che il denaro può comperare. E non è spilorcio. È una brava persona. — Che cosa mi dici dei suoi quadri? — Una cannonata, proprio una cannonata! Ne ho uno in soggiorno. Dopo che ho fotografato la moglie di Halapay a un ballo di beneficenza l'autunno scorso, lui mi ha regalato un suo quadro. Due bambini dai capelli ricci... Be', adesso vado a mettere qualcosa sotto i denti. Mi aspetta un servizio all'una. Arch bevve il suo drink e disse a Qwilleran: — Parla con Halapay e vedi se è possibile fare delle foto. Poi cercheremo di affidare il servizio a Odd Bunsen. È il nostro uomo migliore. Potrebbe scattarle a colori. Non sarebbe male avere questo servizio a colori. — Quel memo rosa ti ha messo in agitazione, o sbaglio? — chiese Qwilleran. — Che nesso c'è tra Halapay e il Daily Fluxion? — Io me ne faccio un altro — disse Arch. — Vuoi anche tu un altro pomodoro? Qwilleran lo ignorò e insistette: — Dammi una risposta chiara, Arch. Perché hanno offerto a me questo lavoro? A me con tutta la gente che c'è? — Perché è questo il modo in cui si fanno le cose nei giornali. Assegnano gli esperti di baseball alla critica teatrale e fanno andar per locali notturni i giornalisti che si occupano di argomenti religiosi. Lo sai meglio di me. Qwilleran annuì e si sfregò mestamente i baffi. Poi chiese: — Che cosa mi dici del critico d'arte del giornale? Se accetterò, dovrò lavorare con lui? O lei? — È un maschio — rispose Arch. — Lui fa la critica, mentre tu ti occuperai semplicemente di cronaca e delle storie personali. Non credo nasceranno conflitti. — Lavora nel nostro ufficio? — No, non ci viene mai. Fa gli articoli a casa, li registra e poi li manda col fattorino una o due volte la settimana. Noi li trascriviamo. Una grossa seccatura. — Che cosa lo tiene lontano? Non gli piace il verde pisello? — Non chiederlo a me. Questo è l'accordo che ha fatto con la direzione. Ha un contratto ben preciso con il Flux. — Com'è questo tipo? — Distaccato. Intransigente. Una persona con cui è difficile andar d'accordo. — Magnifico! È giovane o vecchio? — Una via di mezzo. Vive solo con un gatto, pensa un po'! Sono in molti a insinuare che sia il gatto a scrivergli gli articoli e può darsi che abbiano ragione. — Quello che scrive è buono? — Lui lo crede. Ed evidentemente lo credono anche i capi. — Arch si agitò sullo sgabello mentre soppesava quanto stava per dire. — Corre voce che il Flux gli abbia fatto una forte assicurazione. — Che c'è di tanto prezioso in un critico d'arte? — Lui possiede quella magia che i giornali adorano: è polemico. La sua rubrica fa arrivare centinaia di lettere alla settimana. Anzi, migliaia. — Che genere di lettere? — Irate. Lusinghiere. Isteriche. I lettori che si ritengono intenditori d'arte lo detestano. Gli altri pensano che sia il più grande. E nascono vere e proprie risse. Lui riesce a tenere tutta la città in fermento. Sai che cosa è emerso dalla nostra ultima statistica? La pagina culturale ha più lettori di quella sportiva! Convieni con me che ciò è innaturale. — In questa città dovete avere un mucchio di appassionati d'arte — osservò Qwilleran. — Per godersi la nostra rubrica d'arte non è necessario che piaccia l'arte, basta che piaccia il sangue. — Ma su che cosa litigano? — Lo scoprirai. — Posso capire le polemiche sullo sport, sulla politica, ma l'arte è arte, no? — È quello che pensavo anch'io — rispose l'altro. — Quando sono passato in questo settore credevo ingenuamente che l'arte fosse qualcosa di prezioso: per persone belle, con pensieri belli. Cristo, come ho perso in fretta quest'illusione! L'arte è divenuta un fenomeno democratico. In questa città è diventata la mania più grossa dopo la canasta, e chiunque può giocare. La gente compra dipinti invece che piscine. Qwilleran masticò il ghiaccio del suo pomodoro e rifletté sui misteri dell'incarico che il Daily Fluxion gli offriva. — A proposito — chiese — come si chiama il critico? — George Bonifield Mountclemens. — Vuoi ripetere, per favore? — George Bonifield Mountclemens III! — Un bel po' di lettere! E usa tutti e tre i nomi? — Tutti e tre, tutte le nove sillabe, tutte le ventisette lettere più il numerale! Due volte alla settimana cerchiamo di fare entrare la sua firma nella colonna. Non possiamo farcelo stare che di sghembo e lui non permette abbreviazioni, trattini, contrazioni o amputazioni! Qwilleran fissò il capo redattore con sguardo attento. — Non ti è molto simpatico, vero? L'altro scrollò le spalle. — Mi è indifferente. Di fatto non lo vedo mai. Vedo solo gli artisti che vengono in redazione bramosi di dargli un pugno sui denti. — George Bonifield Mountclemens Terzo! — Qwilleran scosse la testa, sbalordito. — Persino il suo nome manda su tutte le furie alcuni dei nostri lettori — riprese Arch. — Vogliono sapere chi si crede di essere. — Continua a parlare, questo incarico comincia a piacermi. Il capo ha detto che si sarebbe trattato di un bel lavoretto tranquillo e io già temevo di essere costretto a lavorare con un manipolo di santi. — Non lasciarti trarre in inganno da lui. Tutti gli artisti di questa città si odiano, e tutti gli amanti dell'arte si schierano con l'uno o con l'altro. E tutti giocano duro. È come il football, solo più sporco. Improperi, pugnalate alla schiena, doppio gioco... — Arch scivolò dallo sgabello. — Vieni, andiamo a prenderci un panino alla carne. Il sangue da veterano di tante battaglie che scorreva nelle vene di Qwilleran cominciò a ribollire più in fretta. I suoi baffi quasi sorrisero. — D'accordo. Accetto — disse. — Accetto il lavoro.

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