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Arte Sarda PDF

488 Pages·1986·34.018 MB·Italian
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Prima ristampa 1986 ©Copyright by Carlo Delfino Editore, P.za D’Italia 11, Sassari PRESENTAZIONE Quando, nel 1935, venne pubblicato “Arte Sarda” di G. V Arata e G. Biasi, per l’autorità dei due artisti e per il prestigio della casa editrice, i Fratelli Treves di Milano, la Sardegna si presentò per la prima volta in un volume di risonanza non solo nazionale, ma internazionale: una Sardegna ricca di genuine immagi- ni delle sue cose, delle sue architetture rustiche e con i colori dei suoi costumi. La necessità di una ristampa si cominciò a sentire a distanza di pochi anni da quella edizione. Il periodo fra gli anni Venti e Trenta era stato caratterizzato da “entusiasmi per tutto ciò che è produzione popolare con caratteriprevalentementefolkloristi- ci”: e sifavoleggiava nella Penisola su quanto era vivo ancora in Sardegna della sua cultura autoctona. Ma in questa generale epidemia folkioristica, che aveva contagiato la stessa Isola, si era finito per incorrere in un equivoco culturale, nel volere cioè estendere le applicazioni dei motivi decorativi aforme aventi diverse funzioni da quelle originali, e non sempre criticando a sufficienza la validità dei presunti modelli. Per dirla con un antico detto sardo, l’Arata e il Biasi riportarono il carro nel cortile, ponendo finalmente ordine e chiarezza, con un metodo valido non solo per gli esiti della civiltà della Sardegna, che essi, coraggiosamente, chiamarono “arte sarda”. Esisteva qualche collezione, non sufficiente ad esprimere la produzione isolana; l’Arata e il Biasi svolsero una minuziosa indagine, estesa alle diverse aree sub-regionali, raccogliendo una vasta documentazione fotografica e grafi- ca. Il Biasi, che conosceva alla perfezione ogni angolo dell’Isola, per averla ritratta nella sua vasta attività di pittore, scoprendo oltre i costumi, il paesaggio e le architetture rustiche, fu la guida preziosa nei centri, soprattutto quelli che si distinguevano per le produzioni artigianali, e l’architetto Arata selezionò e studiò il vasto materiale raccolto, classificandolo e inquadrandolo nel contesto mediterraneo. È trascorso quasi mezzo secolo: necessariamente, le vicende di quest’arte si sono arricchite di contributi aggiornati, ma gli studiosi sono partiti tutti da quest’opera, che resta ancora fondamentale. Un contributo notevole è dato dagli avanzati studi archeologici sulla civiltà dell’Isola. Oggi, ad eccezione dei costumi (i quali, anche se non vengono più quotidi- anamente indossati, si conservano in moltissime case gelosamente e vengono riprodotti in numerosi esemplari, per venire esibiti nelle grandi manifestazioni folkloristiche che si svolgono ogni anno a Cagliari, a Sassari e a Nuoro), non sarebbe più possibile raccogliere una così dovisiosa documentazione di autenti- ci modelli. Molte architetture rustiche sono scomparse o inglobate in ristrut- turazioni irriguardose. Ifiguli, ridotti considerevolmente di numero, hanno aggiornato le loro produzioni, abbandonando quasi del tutto gli antichi model- li, che per una lunga serie di secoli erano rimasti sempre gli stessi. Altrettanto dicasi dell’arte dell’intreccio, essendo scomparso l’uso principale degli origi- nali manufatti per la lavorazione casalinga della farina e del pane. Già, la casa, i mobili e la suppellettile domistica – cui è dedicato una capitolo – sono da decenni completamente trasformati. Unico mobile che viene ancora conservato in molte case, con amore che può definirsi ancestrale, è il cassone nuziale, che è l’unico mobile autenticamente sardo. Le raccolte pubbliche e private hanno invece salvato da dispersione antichi modelli di tessuti, di gioielli ed amuleti, di armi e utensili intagliati. * * * Merito indiscutibile del libro è stato, dunque, il contributo alla rieducazione alla purezza della forme, distrettafunzionalità, della plurimellenariafunzional- ità: sia nelle espressioni attuali (l’artigianato in Sardegna è ancora vivo, nonos- tante certe deviazioni di pessimo gusto che inquinano, come in altre regioni, ali- mentate dal turismo, le produzioni controllate), sia per l’apprezzamento dei val- ori che presiedettero alle produzioni del passato, come si può riscontrare negli splendidi esemplari esposti nei musei etnografici, di cui nel frattempo l’isola si è dotata, e che vorremmo fossero più arricchiti e più numerosi. Quanto è detto nella prefazione circa la trasposizione dei motivi è sempre valido e non staremo qui a ripetere. Abbiamo accennato al cassone tradizionale, che è accettabile se è ripetuto così, come è sempre stato. Eccezione si può fare per il tappeto e per l’arazzo, che i Sardi non ebbero mai con queste funzioni: erano, infatti, dei copri/etto e dei copricassa. Ma essi, pure fa ntasie coloristiche, si adattano bene alla nuova funzione, di decorazione degli ambienti. Scopo del libro, secondo gli Autori, era quello di “offire una raccolta di impressioni e di espressioni fotogragi che varie su quanto la Sardegna ha più di rappresentativo e di singolare “: ma sono andati oltre, nella selezione critica, in forma organica, del materiale raccolto. Apporti successivi – come si è detto – vertono sulle vicende delle arti minori, cui il testo e la documentazione sono serviti di base, e non esiste a tutt’oggi una catalogazione completa dei costumi e la nomenclatura esatta del/’or(tìceria. Gli autori, un architetto e un pittore conoscitore profondo della propria terra, non potevano non considerare gli oggetti nel contesto dell’ambiente per cui sono stati creati: per la prima volta, infatti, l’architettura della casa viene presentata assieme agli oggetti, originale quinta dei già celebrati costumi. Quelle espressioni che, assieme ai canti, costituiscono le manifestazioni d’arte del popolo sardo. II volume, pertanto, conserva ancora la freschezza originaria. Vico Mossa

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